IL DISONORE DELLE ARMI Settembre 1943: l’armistizio e la mancata difesa della frontiera orientale italiana di Roberto Spazzali


IL DISONORE DELLE ARMI Settembre 1943: l’armistizio e la mancata difesa della frontiera orientale italiana di Roberto Spazzali, edizioni Ares

recensione a cura di Carlo Baldassi , comitato direttivo Anpi “Città di Udine”

Frutto di una corposa documentazione, questo lavoro di Spazzali è incentrato sugli avvenimenti dell’estate/autunno 1943 nell’area giuliano-istriana dove i Comandi militari italiani diedero ampia prova di incapacità o anche disonore.

Come altri recenti studi  (cito ad es. ‘Adriatico amarissimo’ di R.Pupo) il libro esordisce illustrando le peculiarità della Venezia Giulia e dell’Istria dove il fascismo di confine fu violentemente squadrista, antislavo e razzista, sino all’aggressione alla Jugoslavia nel 1941 e alla feroce repressione antipartigiana di Roatta. Col putsch militare del 25 luglio  promosso dal re (complice del duce per vent’anni)  obiettivo politico di quasi tutta la classe dirigente connivente fu tentare di salvare l’Italia monarchica e i suoi privilegi. Intanto, mentre il popolo italiano auspicava solo la fine della disastrosa guerra e la caduta di Mussolini apriva anche nella Venezia Giulia e in Istria qualche nuovo spazio democratico, Badoglio indicava una strada ambigua (‘la guerra continua’) in attesa di un possibile armistizio con gli alleati. Ne risultò come noto l’abbandono degli stessi Comandi e delle truppe che risultò grave soprattutto ai confini orientali – ormai retrovia di guerra – dove aumentava la presenza delle formazioni partigiane slovene e croate (v.pag.204). Intanto i nazisti avevano già lanciato il piano Alarico occupando surretiziamente l’Italia centro-settentrionale e in particolare i valichi nell’area alpino-balcanica. Purtroppo – nonostante la riservatissima Memoria OP 44 dei primi di settembre indicasse i nazisti come i nuovi imminenti nemici – i Comandi italiani dimostrarono clamorosa incapacità e mancanza di coordinamento, salvo le poche situazioni in cui singoli reparti ebbero il coraggio  di opporsi con le armi ai tedeschi (ad es. i carabinieri a Tarvisio e a Gorizia con i partigiani). Ampia la raccolta di vicende e biografie: Spazzali cita ad es. l’inerzia colpevole dell’amm. Strazzeri che consegnò Pola ai nazisti senza combattere od il caso clamoroso del gen. Gambara a Fiume che preferì arrendersi per ottenere un salvacondotto personale, concludendo peraltro la sua parabola come capo di S.M. della RSI di Salò! (pag.380).

Dopo l’8 settembre si realizzò di fatto lo scenario peggiore: i nazisti inglobarono nel Reich l’intero nordest definito OZAK (Operations Zone Adriatisches Kuestenland) e – parallelamente – lo scioglimento dell’esercito italiano diede via libera alla crescente pressione  delle forze partigiane jugoslave. Come noto il progetto nazionalista-stalinista di Tito  aveva sin dal 1942 l’obiettivo di inglobare nella futura Jugoslavia la Venezia Giulia, Trieste e l’Istria considerando la storica presenza italiana ‘oggettivamente’ corresponsabile dell’oppressione fascista ed azzerando così ogni accordo confinario precedente al 1924. Nonostante questa drastica posizione non fosse condivisa dall’intera popolazione locale (spesso in famiglie multilinguistiche), essa venne generando sempre più difficili rapporti tra il MLJ e l’antifascismo italiano, peraltro ben consapevole che l’Italia era paese aggressore e sconfitto. Particolarmente delicata la posizione dei comunisti italiani i quali dovevano conciliare la politica di unità nazionale nel CLN con una visione internazionalista nelle zone mistilingui, ma il nazionalismo soprattutto croato renderà presto impraticabile una soluzione ‘paritaria’ (v. da pag.424) .

Così tra lo scioglimento improvviso dei reparti italiani e l’arrivo dei nazisti si sviluppò soprattutto in Istria la ribellione antitaliana e anticollaborazionista – in buona parte preparata da Zagabria ma con aspetti di jacquerie contadina – con le prime foibe (v. il capitolo ‘Una terra già perduta’). Diverse le situazioni a Fiume, Gorizia  e Trieste ma la sostanza non cambiava: i movimenti sloveni e croati  colsero l’occasione dello sfaldamento italiano per tentare qualche ‘fatto compiuto’ nella direzione di un futuro jugoslavo. La dura repressione tedesca – utilizzando il divide et impera e anche qualche residua nostalgia asburgica locale – da ottobre 1943 riportò un parziale nefasto ‘ordine’, a cui diedero un contributo anche forze del neonato fascismo di Salò. Parallelamente i nazisti rastrellavano centinaia di migliaia di nostri soldati sbandati spediti brutalmente in Germania quali Internati Militari Italiani e che per 2 anni in gran parte poi preferirono la prigionia all’adesione al nazifascismo. Va infine ricordato che una parte di ex militari italiani si impegnò da subito con onore nella resistenza jugoslava (es. in Montenegro) ma l’Italia pagò comunque un prezzo alto.

P.S. Le vicende in questo libro fanno giustizia di interessate posizioni (compresi storici alla E. Galli Della Loggia) che avevano definito l’8 settembre 1943 ‘la morte della patria’. No, l’8 settembre  è morta QUELLA patria fellona e reazionaria. L’Italia deve ringraziare la Resistenza e la Costituzione antifascista che ci hanno donato una nuova Patria.