SCHIAVI DI HITLER i militari italiani nei lager nazisti di Mimmo Franzinelli


SCHIAVI DI HITLER  i militari italiani nei lager nazisti di Mimmo Franzinelli, Le scie – Mondadori
recensione a cura di Carlo Baldassi , comitato direttivo Anpi “Città di Udine”

La vicenda degli oltre 600 mila IMI (Internati Militari Italiani) catturati e imprigionati dai nazisti dopo l’8 settembre 1943 fa parte ormai della nostra Resistenza. Abbandonati dalla fuga del re fellone mallevadore del fascismo e dall’inetto stato maggiore, salvo poche autonome azioni di resistenza armata (Tarvisio, Roma, Cefalonia) i soldati  italiani furono sopraffatti dai tedeschi già pronti da tempo (piano Alarico). Alcuni reparti all’estero peraltro si unirono alle locali formazioni partigiane (ad es. in Montenegro) mentre i primi gruppi di sbandati in Italia raggiungevano presto la montagna.

Gli IMI, una volta nei lager, per dignità di soldati e di italiani gridarono in grande maggioranza il NO al nazifascismo subendo per quasi due anni prigionia, fame, freddo, sevizie, lavoro forzato, pidocchi, malattie e tanta nostalgia di casa aggravata dalla rara corrispondenza.  Di fronte a quei giovani che per la prima volta dopo 20 anni di dittatura si trovarono a decidere ‘con la propria testa’, meno del 10% dei catturati aderì alle ‘profferte’ nazifasciste: nelle prime settimane prevalentemente ufficiali filofascisti e poi solo per debolezza fisica od opportunismo, a volte contraddittorio (pag. 215 e sgg).

Il libro di Franzinelli si sviluppa su alcuni capitoli: lo sfacelo dell’8 settembre e l’odio tedesco verso le ‘patoglio truppen’ traditrici,  le infernali tradotte e l’impatto con i lager, il sostanziale fallimento delle bugiarde lusinghe della RSI, i lavori forzati, esperienze dei protagonisti, sino ad alcune stragi vendicative a pochi giorni dalla liberazione nel 1945 e all’amaro dopoguerra in Italia.

La definizione di IMI  invece di Kriegsgefangenen (prigionieri di guerra) escogitata subito da Hitler, permise ai nazisti  di impedire che questi potessero fruire di assistenza dalla Croce Rossa per molti mesi, venendo invece utilizzati intensamente nell’economia di guerra (ed evitando nel dopoguerra risarcimenti).

Il primo nemico degli internati fu la fame, non tacitata da brodaglie di rape e pane ammuffito e dalla continua ricerca di rifiuti commestibili. Quindi il freddo, le vessazioni e l’inedia nelle baracche degli Stalag, nonostante i trucchi di sopravvivenza (anche le radio a galena) oltre le inevitabili debolezze umane. Ancora peggiori le condizioni nei lager di punizione (Straflag) gestiti ferocemente dalle SS. Più sopportabile invece la detenzione per gli ufficiali (molti monarchici e..classisti) negli Oflag. Dalla primavera-estate 1944 la gran parte dei soldati IMI – diventati con le intimidazioni ‘liberi lavoratori’ (appunto gli ‘schiavi di Hitler’) anche con l’assenso ipocrita  di Mussolini (v. pag.172 e sgg) – fu impiegata nelle miniere, nelle fattorie, nelle fabbriche e nei pericolosissimi sgomberi delle città bombardate, con pesanti giornate di lavoro (fintamente retribuito) e ore di marcia all’andata e al ritorno. Circa 50.000 morirono per fucilazioni arbitrarie, violenze, stenti e malattie.

Come sappiamo, al ritorno gli IMI parlarono poco della loro vicenda sia per l’umanissimo desiderio di dimenticare sia per le priorità drammatiche dell’Italia del 1945 e – per anni – furono quasi trascurati della stessa storiografia resistenziale ufficiale poiché di fatto rappresentavano un esercito sconfitto. Questo bel lavoro di Franzinelli ricostruisce compiutamente quella odissea anche tramite documenti e memorialistiche inediti e ricordando l’impegno di associazioni combattentistiche, degli ex deportati politici e delle forze democratiche che aveva finalmente portato dal 1997 al riconoscimento degli IMI da parte della nostra Repubblica.

P.S. Nel 2021 agli IMI friulani l’ANPI udinese ha dedicato la bella mostra fotografica ora itinerante e prosegue la raccolta di cimeli da familiari.