Discorso di Andrea Zannini presso Faedis per il 75° anniversario della battaglia della Zona Libera del Friuli Orientale


Il movimento che portò alla formazione nel 1944 della Zona Libera del Friuli orientale – e dunque di un embrione di vita democratica prima della Liberazione – ebbe i suoi inizi nel settembre del 1943, quando, con la disgregazione dell’esercito e il dissolvimento dello stato, un grande numero di giovani soldati si rifugiò nelle valli montane o in territori periferici, cercando di sottrarsi ai tedeschi e alla deportazione nei campi di internamento in Germania.

Accanto a questi si ritrovarono gli antifascisti, i politici, alcuni dei quali da poco avevano ritrovato la libertà rientrando dal confino o dalle carceri fasciste. Si andarono così rapidamente organizzando i primi nuclei di Resistenza, che trovarono nelle particolari caratteristiche della dorsale posta tra Cividale e Tarcento – impervia ma vicina alla pianura – le condizioni ideali per impiantare il movimento di reazione al regime mussoliniano e all’ occupazione nazista, tanto da fare quest’area la culla della Resistenza friulana.

Il contesto politico dell’area era del tutto particolare: operavano infatti sul terreno reparti della Resistenza slovena che pretendevano un assoluto controllo sul territorio del Friuli orientale in quanto terra già dichiarata annessa alla nuova Slovenia dai maggiori organi politici della Resistenza slovena e jugoslava. Nell’aprile-maggio 1944 si giunse però a degli accordi che permisero alla Resistenza italiana locale di dispiegare in questa zona tutta la sua potenzialità offensiva.

All’inizio dell’estate 1944 la neonata formazione Garibaldi Natisone, alla quale si era unita la missione inglese del maggiore Vincent Hedley “Tucker”, fissò il proprio comando a Canal di Grivò, nel Comune di Faedis. Ai 500 uomini della brigata presto si unirono centinaia di altri giovani, in fuga dall’arruolamento nella Wermacht o nelle fila repubblichine, tanto che le unità giunsero al numero di 2 mila alla fine dell’estate. Nel frattempo si erano costituiti tre battaglioni dell’Osoppo, che divennero cinque alla fine dell’estate. In luglio i comandanti garibaldini e osovani firmarono un accordo di coordinamento operativo e da agosto venne dato vita al “Comando Divisionale Garibaldi-Osoppo”, al quale faceva capo operativamente anche un battaglione sloveno,il quarto battaglione della XVII Brigata Simon Gregorčič. Forte di 3 mila uomini, la Brigata Garibaldi-Osoppo aveva sede a Forame, frazione di Attimis. Non fu facile giungere a questa unificazione, per le differenze ideologiche e militari tra le due formazioni: vi contribuirono comandanti partigiani più aperti alla collaborazione e anche l’insistenza del maggiore Tucker che, come scrive Alberto Buvoli, “intervenne insistentemente e in maniera determinante in favore dell’accordo, a volte anche minacciando ritorsioni se a ciò non si fosse arrivati”.

Questa ingente forza militare sotto comando unico provocò pesanti perdite al nemico, tanto da riuscire a liberare dai presidi nazifascisti, nel corso dell’estate 1944, una area vasta circa 70 km qudrati, abitata da 20 mila abitanti, che comprendeva il territorio di sei comuni: Attimis, Nimis, Faedis, Lusevera, Taipana e Torreano. Un quadrante strategico, dal quale era possibile operare nella piana friulana, effettuando operazioni su importanti direttrici di traffico, a partire da valli e monti riparati e dirupi. Il contesto internazionale bellico del momento era quello dello sfondamento del fronte di Cassino, della liberazione di Roma e dell’avanzata delle truppe alleate in Normandia: un’avanzata che prometteva una caduta, se non imminente, quanto meno vicina del nazifascismo, che invece resse ancora per un lunghissimo, drammatico anno. Nel frattempo fiorirono le zone libere e le repubbliche partigiana, una “grande illusione”, secondo alcuni, un empito di libertà, pagata a duro prezzo ma indispensabile, secondo altri.

Tre furono gli episodi maggiormente significativi che portarono alla costituzione della Zona libera del Friuli orientale: la battaglia di Nimis, la presa di Povoletto e la distruzione del presidio di Vedronza.

Aspramente combattuta fu la battaglia di fine agosto per la liberazione di Nimis dalle truppe cosacche. Il Battaglione Tarcento ebbe il compito di bloccare San Gervasio e la strada Nimis-Attimis; i Battaglioni Verrucchi e Manin quello di schierarsi tra i torrenti Lagna e Cornappo. La Brigata Osoppo doveva svolgere compiti di protezione. Gli scontri proseguirono per alcuni giorni fino alla sera del 24 agosto quando i cosacchi, nel frattempo rinforzati da contingenti tedeschi dotati di mezzi corazzati e da collaborazionisti fascisti, si ritirarono, ma gli scontri proseguirono ancora per una settimana.

Il 25 agosto si consumò l’eccidio di Torlano, uno dei crimini più efferati dell’occupazione nazista del Friuli. Una colonna di soldati tedeschi della Divisione Karstjäger entrò nella piccola frazione di Nimis dove erano rimasti solo vecchi, donne e bambini. Al comando del criminale di guerra Fritz Wunderle, e guidati da due fascisti friulani della Milizia Difesa, i tedeschi rastrellarono quel gruppo di case, chiusero gli abitanti nell’osteria, spararono un colpo alla testa ai maschi e uccisero a raffiche le donne.  Ai cadaveri venne dato fuoco: 33 furono le vittime, fra cui 9 bambini.

Alla liberazione di Nimis, il 31 agosto, seguì la presa di Povoletto, un’azione militare della massima importanza: 28 furono le perdite tra fascisti e carabinieri, 193 i prigionieri fra i quali anche i tre marescialli tedeschi, 170 i carabinieri catturati che entrarono nelle formazioni osovane e garibaldine.

Seguendo le indicazioni concordate dal CLN con i comandi alleati, che invitavano la popolazione del nord-Italia a insorgere e a preparare la strada della democrazia, venne così costituita la Zona Libera del Friuli orientale nella quale si costituirono forme di autogoverno democratico. A Nimis gli abitanti elessero direttamente il sindaco e la giunta comunale, mentre ad Attimis la nomina degli amministratori comunali fu effettuata da un’assemblea di 120 capifamiglia, solo maschi però, a quanto sembra dalle testimonianze e a differenza di quanto avveniva negli stessi giorni in Carnia, dove misero una scheda nell’urna dei consigli comunali anche le capofamiglia donne.

A Faedis fu il Cln a nominare direttamente il sindaco e la giunta, dopo aver consultato i capifamiglia, mentre negli altri comuni furono i Cln a esercitare le funzioni amministrative. L’atteggiamento delle popolazioni fu generalmente favorevole al partigianato, se non altro come sollievo dall’occupazione nazifascista e soprattutto cosacca che era stata imposta – 700 cosacchi solo a Nimis che vivevano per intero sulle risorse della gente. I partigiani, invece, potevano in quest’area appoggiarsi sull’efficiente servizio di intendenza che, grazie anche alla vicinanza della pianura, rendeva meno gravosa che altrove la convivenza con la popolazione.

Naturalmente le sofferenze e la preoccupazione erano tante. La Superiora dell’Asilo di Nimis – così annotava nel suo diario una sua consorella -spesso rivolgeva ai partigiani la domanda: «Sarete in grado di tenere il fronte se avvenisse qualche attacco da parte del nemico? Oppure ci tradirete?». «Non sarà mai!», era la risposta «Moriremo, ma vili mai!». «Ho tanta paura» ribatteva la Superiora. «Poveri noi se ciò avvenisse!»

A differenza della Zona Libera della Carnia e dell’Alto Friuli, dove comando militare e istituzioni civili furono separati, nelle sue poche settimane di vita la Zona Libera del Friuli orientale ebbe in un Cln militare appositamente creato il suo organo principale di governo. Questo carattere spiccatamente militare dell’area liberata era dovuto alla sua particolare posizione e all’intensissima attività bellica svolta dalle formazioni partigiane che vi avevano sede: “Sabotaggi, prevalentemente alle linee ferroviarie e stradali tra Udine e Cividale e tra Udine e Tarvisio, assalti a presidi o a gruppi di nemici isolati, requisizioni in pianura per il servizio d’intendenza, e tutta una serie di azioni volte a insidiare il controllo del territorio da parte dei nazifascisti. È probabile che questa attività” scrive lo storico Flavio Fabbroni “così impegnativa e pericolosa, abbia indotto il Comando partigiano a porre in secondo piano l’organizzazione civile della zona liberata che le circolari del Cln Alta Italia e del Corpo dei Volontari della Libertà del giugno 1944 suggerivano”.

Il 27 settembre 1944 diverse migliaia di uomini, fra tedeschi, cosacchi e militi fascisti, con carri armati, mezzi corazzati e artiglieria attaccarono la Zona libera: partiva l’Operazione Klangenfurt che avrebbe posto fine anche a questa zona libera partigiana.

Per tutta la mattinata si combatté accanitamente, Faedis venne occupata dai tedeschi e poi ripresa dai partigiani, ma le forze e la potenza di fuoco del nemico, che mise in campo mezzi corazzati, erano decisamente superiori. La situazione si aggravò per la defezione da Platischis del battaglione sloveno che, senza avvertire il comando, si dileguò lasciando sguarnito il lato nord e scoperte le spalle del fronte partigiano italiano rivolto verso la pianura. Da questa falla provennero decisivi attacchi tedeschi. Il 28 settembre i tedeschi ripresero sul lato sud l’offensiva ed entrarono a Nimis, Attimis e Racchiuso. Nella notte fra il 28 e il 29 le formazioni partigiane dovettero iniziare il ripiegamento: alla fine rimasero sul campo, secondo calcoli recenti, 29 partigiani garibaldini, 97 osovani e 21 civili.Buona parte della Zona libera venne rioccupata dai tedeschi che, per vendicarsi delle pesanti perdite subite, sfogarono la loro rabbia sui paesi e sulla popolazione, costretta a fuggire dalle proprie case: vennero incendiati Sedilis, Ramandolo, Torlano, Subit (per la seconda volta), Nimis, Faedis, Attimis. Numerosi civili furono sommariamente uccisi, oltre un centinaio di persone inviato nei campi di concentramento in Germania.

Il peso delle rappresaglie cadde pesantemente sulla popolazione e generò un senso di distacco rispetto alle ragioni della Resistenza: «incendiare tutto un paese, per colpa di pochi irresponsabili partigiani, non appartenenti al paese, è cosa mostruosa», scriveva il parroco di Nimis nel suo diario parrocchiale, riassumendo con ogni probabilità un sentimento molto diffuso.

Al ricordo della feroce repressione della Zona Libera, alla desolazione dei paesi incendiati e distrutti, si unì negli anni dopo il 1945 il ricordo della strage di Porzus, il più sanguinoso conflitto interno alla Resistenza della lotta di Liberazione. I due eventi hanno alimentato una consolidata memoria antipartigiana, soprattutto anticomunista. Si tratta di una pagina della storia del Friuli e d’Italia che rivela tutta la complessità delle vicende storiche, e tutte le tensioni e anche le contraddizioni della Resistenza. Essa ebbe come stella polare la Liberazione, ma costrinse a convivere vicine visioni ideologiche diverse: una “Resistenza difficile”, come ha intitolato un bellissimo libro uno storico, superando le antinomie tra celebrazione acritica della Resistenza e attacchi ideologici alla lotta di Liberazione. Compito nostro è continuare a studiare, per provare a capire e ricordare. Così ha fatto l’Istituto friulano di storia del movimento di Liberazione in occasione del Settantesimo anniversario della Liberazione, che il 26 e il 27 settembre 2014, nel settantesimo dei fatti che stiamo ricordando, ha promosso con il supporto della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia e delle amministrazioni comunali dei paesi interessati da queste vicende un convegno storico i cui atti sono stati pubblicati dalla casa  editrice Il Mulino con il titolo “Estate-autunno 1944. La Zona libera partigiana del Friuli orientale” per cura di Alberto Buvoli e di chi parla.

I paesi e la popolazione di queste terre portano nella propria memoria i segni e la sofferenza di quella terribile lotta, nella quale furono commessi molti errori e anche crimini, nella quale combatterono e persero la vita centinaia di giovani, tutti uniti dall’ideale di un’Italia libera dall’occupazione nazifascista. Mettere sullo stesso piano – magari in forma implicita – Resistenza e nazifascismo come forme differenti ma simili di sopruso e oppressione è operazione moralmente disdicevole. E a poco servono formule come quelle della “memoria condivisa”, che tendono appunto a mettere sullo stesso piano tutti quanti.  Cerco sempre di spiegarlo ai miei allievi con questo esempio, che voglio citare in conclusione di questa mia breve orazione. Un giorno Giorgio Pisanò, già ufficiale repubblichino e poi senatore del Movimento Sociale, incontrando Vittorio Foa, partigiano del Partito d’Azione, recluso in un carcere fascista dal 1935 al 1943, gli disse: ‘Ci siamo combattuti da fronti contrapposti, ognuno con onore, possiamo darci la mano’. Foa gli rispose: ‘E’ vero abbiamo vinto noi e tu sei potuto diventare senatore, avessi vinto tu io sarei ancora in carcere’.

E’ con questo consapevolezza e questo spirito, che nel 75esimo anniversario che oggi si celebra possiamo dire: Viva la Resistenza e la Zona Libera del Friuli orientale. Viva la Repubblica italiana.