Orazione di Roberta Nunin alla cerimonia in ricordo dei 23 partigiani osovani e garibaldini fucilati al cimitero di Udine


Signor Sindaco, Autorità, Uomini e donne dell’ANPI e dell’APO, Familiari delle vittime, Cittadine e Cittadini

Sono onorata ed emozionata di essere con voi in questo luogo, nella nostra città, decorata con la Medaglia d’oro al valor militare per il contributo da essa e, con essa,  da tutto il Friuli dato alla lotta di liberazione dal giogo nazifascista,  davanti a questa lapide che ci ricorda il martirio di 23 partigiani, garibaldini e osovani, alcuni tra i quali giovanissimi, fucilati dai fascisti, comandati da un ufficiale delle S.S., l’11 febbraio 1945, quale brutale rappresaglia per il coraggioso attacco alle carceri della città  che aveva consentito di liberare decine di prigionieri.

Questi uomini, questi ragazzi, che qui oggi celebriamo e davanti alla cui memoria tutti e tutte ci inchiniamo grati, sono solo alcune tra le innumerevoli vittime di una barbarie che tanto sangue aveva e ancora avrebbe sparso nelle nostre terre nelle settimane successive, prima che giungesse il giorno agognato della liberazione.

Ogni anno ci ritroviamo qui ed onoriamo questi caduti e, con loro, la Resistenza di cui essi furono parte, nella consapevolezza della necessità di tenere vivo il filo di una memoria che è patrimonio prezioso e deve essere custodita di generazione in generazione, anche e soprattutto adesso, che gli ultimi testimoni diretti di quella stagione di lotta e di speranze, da cui è germogliato il frutto prezioso della nostra Costituzione repubblicana, stanno in silenzio lasciandoci l’uno dopo l’altro.

Memoria, dunque, ma anche severo monito.

Questi uomini, con le loro vite spezzate per altissimi ideali di libertà e giustizia ai quali non hanno esitato ad immolarsi, questi uomini che – in un tempo di scelte difficili – non esitarono a schierarsi, dalla parte giusta – perché c’era una parte giusta per la quale schierarsi, ed era quella del contrasto al nazismo ed al fascismo – ci chiedono di essere degni del loro sacrificio, che assieme quello di tanti altri, fu fondamentale perché il nostro Paese potesse immaginare – nel difficile, faticoso e doloroso percorso della lotta di liberazione – e, poi, costruire un nuovo futuro: libero, democratico, repubblicano, antifascista.

In un momento nel quale in tutta Europa vediamo con preoccupazione e sdegno manifestarsi orrendi ed inaccettabili rigurgiti fascisti e nazisti, con gesti, parole ed azioni ormai posti in essere senza vergogna, alla luce del sole, confidando in un’impunità ed in una sottovalutazione del pericolo alla quale non possiamo e non dobbiamo rassegnarci, da questa lapide sale un grido, che richiama noi tutti – custodi delle libertà democratiche e dei valori repubblicani – ad un saldo, costante ed infaticabile impegno quotidiano,  perché vengano contrastati con la dovuta fermezza questi conati velenosi, che richiamano un’ideologia che nel culto della violenza, del razzismo, del maschilismo più bieco, dell’antisemitismo, dell’omofobia trovava e trova i suoi disvalori fondanti.

I valori che invece noi celebriamo, ed intorno ai quali uniti qui ci ritroviamo, sono quelli della nostra Costituzione repubblicana, prezioso frutto di un dibattito altissimo e fecondo che vide protagonisti uomini e donne, molti tra i quali avevano vissuto in prima persona l’esperienza della persecuzione politica, del carcere fascista, del confino, dell’esilio e della lotta di liberazione.

Una Costituzione, la nostra, che ci chiama tutti ad un impegno preciso ed ineludibile. Voglio qui ricordare, a tale proposito, le parole di Pietro Calamandrei, nel famoso discorso del 1955 agli studenti di Milano: “la costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La costituzione è un pezzo di carta: la lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile, bisogna metterci dentro limpegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità”

La nostra Costituzione affida, dunque, ad ognuno di noi la difesa dei suoi valori, ci chiama ad un ruolo non passivo ma attivo, quello di essere testimoni, custodi e garanti delle promesse di libertà, eguaglianza, solidarietà, dignità e giustizia di cui essa è portatrice. Allo stesso tempo, non dobbiamo dimenticare che i padri e le madri costituenti – memori della tragica esperienza della dittatura – vollero approntare, scrivendo la Carta fondamentale della nostra Repubblica, un delicato sistema di equilibri e bilanciamenti tra i diversi organi costituzionali, garanzia fondamentale per la nostra vita democratica, in quanto diretto ad evitare che l’assetto istituzionale e valoriale possa essere stravolto a colpi di maggioranza e che possa aprirsi la strada verso non tollerabili derive autoritarie. La Costituzione non è immodificabile, prevedendo essa stessa un meccanismo di possibile riforma, attento però a garantire il più ampio consenso e dunque richiedendo maggioranze particolarmente qualificate e, in mancanza, il vaglio del corpo elettorale tramite referendum. Ma riformare non può e non dovrebbe tradursi in sfigurare.

Proprio per questo, non possono non destare viva  preoccupazione i ben noti progetti, sostenuti dall’attuale governo ed ora in fase di discussione, a partire da quello di riforma costituzionale, oggetto già di molte critiche da parte di autorevoli giuristi e giuriste; un progetto che, se portato a compimento, appare in grado di alterare irrimediabilmente quel delicato equilibrio al quale poc’anzi facevo riferimento: si pensi solo al ridimensionamento del fondamentale ruolo di garanzia del Presidente della Repubblica, così come alla previsione dell’introduzione di un premio di maggioranza sproporzionato, elementi già solo questi – per tacere di molte altre criticità, tra cui la totale assenza di coordinamento con il sistema elettorale – che pongono fin d’ora fondati dubbi quanto alla complessiva costituzionalità di questo disegno ed al rischio che esso, se attuato, possa sostenere derive autoritarie.

Si tratta dunque di un progetto che appare disordinato e confuso nell’utilizzo dell’armamentario giuridico, ma che purtroppo sembra molto chiaro nell’obiettivo: quello di un premierato forte – che appare di per sé in contrasto con il modello di democrazia partecipativa ed estremizza le tendenze al leaderismo – quanto più libero da contrappesi di garanzia esterni  e che, per come sembra concepito, si pone peraltro al di fuori non solo della nostra tradizione giuridica, ma anche di quella di tutti gli altri Paesi europei. A questa riforma, già da sola assai preoccupante, si aggiungono poi da un lato gli interventi in materia di giustizia, non meno criticabili laddove la direzione sia quella di limitare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, e, dall’altro, quello  relativo alla c.d. “autonomia differenziata”; quest’ultima, in particolare, attuata come è noto con una legge ordinaria, appare suscettibile di ledere in modo irrimediabile il principio di solidarietà – pure facente parte degli assetti valorali della nostra Carta fondamentale – aumentando il divario già grave tra Nord e Sud del Paese e legittimando una inaccettabile partizione di fatto tra cittadini di serie “A” e di serie “B”, a seconda della parte del territorio nazionale dove avranno la ventura di nascere e vivere. Né conforta, a quest’ultimo proposito, il richiamo alla pretesa garanzia che dovrebbe essere fornita dalla previsione dei livelli essenziali delle prestazioni: una vera e propria foglia di fico, laddove si ponga solo mente alla totale inefficacia già manifestata da simili strumenti, ad esempio in relazione al sistema delle prestazioni sanitarie.

L’Italia ha purtroppo già conosciuto, con la dittatura fascista, l’esperienza dell’uomo solo al comando, che ha inferto al nostro Paese ferite terribili ed arrecato lutti infiniti. Il delicato bilanciamento di pesi e contrappesi della nostra Carta costituzionale – saggiamente disegnato da uomini e donne che ben presenti avevano ancora davanti agli occhi, al tempo della redazione della Costituzione, l’esperienza e gli esiti tragici di un ventennio di dittatura –  e le fondamentali garanzie da essa previste (dal ruolo del Presidente della Repubblica all’indipendenza della magistratura) costituiscono fondamentali presidi di tutela nello svolgimento della vita democratica.

Proprio per questo, appare indispensabile seguire con la massima attenzione i disegni di riforma in atto, e prepararsi, se del caso, a contrastarli con gli strumenti che il nostro sistema democratico offre a cittadini e cittadine, a partire dal referendum costituzionale, se, come appare assai probabile, ad esso saremo chiamati.

Viva la Resistenza, Viva la Repubblica, Viva la Costituzione

Roberta Nunin , 11 febbraioo 2024 , Cimitero di San Vito a Udine