Orazione ufficiale di Fulvio Tomasin 77°Anniversario della battaglia della Zona Libera del Friuli Orientale – Faedis, 26.09.2021


Rievocando i tragici fatti del 29 settembre 1944 con l’incendio di Nimis cui seguirono quelli di Faedis e di Attimis ad opera delle truppe Nazifasciste e Cosacche, pare che in questi territori, nel brevissimo volgere di una stagione, siano accaduti tutti gli eventi che riassumono  i tratti del secondo conflitto mondiale e dell’occupazione nazifascista di queste nostre terre, del duro prezzo pagato alla follia nazifascista.

Ricordiamo quindi:

  • l’esaltante esperienza della Zona Libera del Friuli Orientale nel luglio del 1944, un territorio liberato di circa 70 Km2che ricomprendeva le comunità di Faedis, Nimis, Attimis, Lusevera, Taipana, Torreano abitata da circa 20.000 ab. , “oasi di libertà”ed in nome di essa capace di organizzare libere elezioni delle giunte comunali per gestire democraticamente la vita politica e civile, (come nella Zona Libera della Carnia), protetta dal presidio della Divisione unificata partigiana Garibaldi Osoppo Natisone;
  • la fine di quell’esperienza il 27 settembre 1944 per la rabbiosa offensiva delle truppe tedesche, con i  partigiani costretti alla ritirata soverchiati dall’ingente dispiegamento di uomini e mezzi del nemico;
  • le vere e proprie azioni di guerra;
  • le razzie (maiali, vitelli, macchine, radio);
  • lo sgombero dei paesi;
  • le deportazioni in Germania;
  • i civili trucidati;
  • gli incendi di case e rustici (complessivamente 1.126);
  • le violenze;
  • l’occupazione dei Cosacchi (dal sapore della pulizia etnica)…….per tutto l’inverno i Cosacchi trasportavano con carri masserizie, letti, mobili al cascamificio di Artegna, dopo di che porte, imposte, travi, legnami si vendevano a Tarcento da mercanti nostrani……(dalla testimonianza del Parroco di Faedis don Leone Mulloni);
  • il durissimo inverno 1944-45 delle popolazioni locali, senza case e sostentamento.

 Consentitemi anche un ricordo personale.

In quel Settembre del 1944 mio padre Firmino Tomasin, il partigiano “Cerno”, con i suoi 20 anni, assieme ad un compagno, parte da Terzo d’Aquileia nella Bassa Friulana e risale a piedi, camminando solo di notte, il corso del torrente Torre e dopo qualche giorno giunge proprio in questi territori, a Canebola, per offrire il proprio contributo come combattente nella lotta partigiana. Rimarrà in queste zone per l’intero difficile inverno del 1944, per ridiscendere solo il 1°Maggio 1945 per l’entrata trionfale delle truppe partigiane in Udine liberata. 

Lui riuscì a sopravvivere, meno fortunato fu invece un altro nostro compaesano Bruno Fracaros che a soli 19 anni morì fra queste montagne. Un cippo, in località Costapiana, a cui faremo visita dopo come ogni anno, ricorda il suo sacrificio.

Se escludiamo questi ricordi particolari, gli eventi prima narrati sono noti, meno nota invece è “una bella storia di solidarietà e generosità”, generata proprio da quei tragici eventi. “Il fatto” viene ricordato di tanto in tanto, lo è stato in occasione del 60°anniversario della Liberazione, quando prima a Faedis e successivamente a Terzo d’Aquileia con la partecipazione di tutti i Comuni coinvolti si rivisse, con alcuni protagonisti di allora, quella straordinaria storia. Ben rappresentata peraltro da un “libretto” scritto sapientemente dal prof. Flavio Fabbroni grazie ad una sua ricerca e raccolta di testimonianze.

Ebbene oggi, in questa importante cerimonia, viene riproposta quella storia.

“Si sono guardate, si son date la mano”

(da una testimonianza…….all’arrivo dei bambini ad Aquileia, una donna si avvicina ad una  bambina, la guarda, la prende per mano e si avviano insieme versa la propria casa………senza parlare)

Un evento di grande umanità che genericamente si ricorda come “i bambini di Faedis, Nimis ed Attimis” o meglio i “Frûts di Faedis, Nimis ed Attimis”.

Quei bambini e quelle genti che duramente avevano subito la barbarie nazifascista con l’incendio delle loro case avevano perso tutto ciò che avevano, avevano bisogno di aiuto.

Nel giugno del ’45 prendeva forma il desiderio di aiutare i bambini dei paesi distrutti dalla barbarie nazifascista a superare i momenti difficili che stavano vivendo, ospitandoli nelle famiglie dei Comuni della Bassa Pianura Friulana.

L’idea partì dalla sezione del P.C.I. di Terzo d’Aquileia, ma le protagoniste assolute furono “le donne” organizzate nella sezione locale dell’U.D.I. sostenuta anche dai rispettivi livelli Provinciali.

Quel “desiderio” raggiunse e contagiò rapidamente i paesi vicini.  Aquileia, Fiumicello, Ruda, Villa Vicentina, Scodovacca (Comune di Cervignano del Friuli) aderirono prontamente al progetto e si aggiunsero a Terzo per dar vita tutti assieme a quello che è stata “una grande storia di solidarietà, di civiltà, di altruismo, di amore senza uguali”.

Quelle donne furono in grado di aggregare attorno alla loro azione persone, famiglie, intere comunità in uno slancio di solidarietà capace di superare ogni distinzione politica, ideologica, culturale. Un protagonista disse……”la politica in questi casi qua non c’entra, c’è bisogno di fare qualcosa”, aggiungendo però…….”certo che i ricchi qua non ne hanno preso nessuno” (di  bambini).

Nella 1^ riunione organizzativa tenutasi a Terzo d’Aquileia nel giugno del 1945 c’era una gran fretta di agire perché “bisognava dare una casa ai bambini per l’inverno”, bisognava che i bambini trovassero tutti rapidamente una sistemazione nelle famiglie ospitanti della Bassa perché nel mese di ottobre i “bambini dovevano andare a scuola”.

Complessivamente 144 furono le famiglie ospitanti, di Terzo, Aquileia, Fiumicello, Ruda, Villa Vicentina, Scodovacca. Famiglie semplici, famiglie contadine, perlopiù di mezzadri, di braccianti agricoli, di operai, qualcuna anche “che no riváva a méti al gustá dóngia da séna”, furono protagoniste di una grande storia.

Una novantina furono i bambini ospitati, quasi tutti provenivano da Faedis, Nimis, Attimis, ma qualcuno anche da Povoletto e Tarcento, evidentemente i bisogni in quei tempi erano diffusi ben oltre i martoriati paesi.

Il distacco fu dolorosissimo, i bambini con età ricompresa fra i 6-14 anni si rinchiusero in “un silenzio surreale”, le “madri attonite” affidavano i propri figli nella mani sostanzialmente di estranei. Il tutto fa capire quanto fossero disperate quelle popolazioni.

Le famiglie della Bassa, le mamme, ancora le donne protagoniste dell’ospitalità, prestarono la massima attenzione ai bisogni dei bambini, curandoli come se fossero loro figli e forse anche di più ……come testimoniava un bambino ospite.

Significative altre testimonianze:

 “noi dormivamo per terra, mentre loro la mamma li ha messi nel nostro letto”

 “badavano più a me che non a loro figlio e qualche volta il figlio era geloso”

 “mi davano la bicicletta per andare a Scuola, così portavo anche il loro figlio più piccino”,

 “la mamma ha tagliato un vestito dei miei per poterlo dare alla bambina ospitata, io non ero gelosa, ma sono stata male perché non avevo niente neanch’io”.

Buona parte dei bambini rimasero ospiti per alcuni mesi, in genere la durata di un anno scolastico, il primo anno scolastico dopo la guerra.

Altri rimasero un anno e più, c’è addirittura una testimonianza di una permanenza dalla prima alla terza elementare.

Si è trattato di una bella storia, una storia che fa bene ricordare e raccontare, e questo anniversario ne è stata un’occasione.

Questa storia accomuna due territori di questo nostro Friuli, tragicamente uniti.

La Zona Libera del Friuli Orientale e la resistenza partigiana, protagoniste della Lotta di Liberazione, pagarono un prezzo elevatissimo alla reazione nazifascista.

La Bassa Friulana, immediatamente dopo la fine della guerra, capace di uno slancio di “solidarietà” senza uguali. Vista la grave condizione economica, non erano forse i momenti per la solidarietà, eppure, grazie ad un “contesto socio-culturale profondamente solidale” ed unito che aveva già dato prova di se, ciò è stato possibile. In questi territori infatti, durante i momenti più duri della Lotta di Liberazione, operava l’Intendenza partigiana, intitolata al suo massimo dirigente Silvio Marcuzzi “Montes” , in grado di raccogliere senza sosta le vettovaglie per sostenere, sul piano alimentare la Resistenza di quasi tutta la Regione. Grazie al generoso coinvolgimento di gran parte di quelle popolazioni contadine capaci di offrire, nonostante le ristrettezze, vettovagliamenti, protezione, ospitalità ai partigiani anche a rischio della vita in nome della solidarietà, venne fornito un contributo prezioso alla Lotta di Liberazione.

Oggi ciò sarebbe stato possibile?

E’ difficile dare una risposta, perché oggi è inimmaginabile uno scenario del genere.  Non si può tuttavia liquidare superficialmente il quesito. Ma bisogna ricordare che l’ invidiabile condizione di sicurezza in cui si vive oggi, non scontata peraltro, è garantita dalla nostra solida “Carta Costituzionale” che discende proprio da quella Lotta di Liberazione, capace di restituire un minimo di dignità al martoriato paese di allora. Quella Carta, ricca di “alti valori”, oggi quanto mai validi, hanno consentito all’Italia di essere uno dei Paesi fondatori dell’Unione Europea alla quale ci sentiamo radicati e che indubbiamente ha contribuito  a rafforzare ulteriormente la nostra condizione di sicurezza.

Tuttavia la necessità di dedicare attenzione ai bambini, ricordata in questa cerimonia, oggi è ancora presente, e non assume ancora quella centralità che meriterebbe.

Non solo il dramma dei bambini in fuga dagli ormai tristemente noti teatri di guerra di cui abbiamo una percezione lontana, di cui forse non riusciamo a cogliere fino in fondo la drammaticità. Si pensi anche a quanti bambini in questo nostro ricco paese vivono al di sotto della soglia di povertà, non frequentano regolarmente la scuola, e non possono godere dei più elementari diritti dell’infanzia. Oppure a quei bambini che pur vivendo una condizione di agiatezza materiale si trovano in una condizione di solitudine.

E’ ormai urgente una riflessione su tutto questo, ma intanto iniziamo fin d’ora “a ricercare il loro sguardo e dedicare loro un sorriso” come fecero le donne della Bassa Friulana in quel triste autunno del 1945……“si sono guardate, si son date la mano”.

Fulvio Tomasin, ANPI Terzi di Aquileia