Orazione di Chiara Dazzan dell’ ANPI Città di Udine alla cerimonia di borgo Villalta del 24 aprile 2023


Mio nonno aveva 4 dita nella mano destra, gli mancava il mignolo. A noi nipoti, da bambini, e ancor prima ai suoi figli, soleva raccontare di averlo perso durante la guerra, quando, da un appostamento, lo aveva tirato fuori per sentire da che parte tirava il vento e allora un tedesco gli aveva sparato.
In verità -ma io e i miei fratelli lo apprendemmo solo in seguito- quel dito tranciato era frutto di un incidente occorsogli in campagna mentre lavorava con una mietitrebbia.
Quello era il suo modo di avvicinare noi ragazzini al racconto di un periodo drammatico della storia italiana che lui aveva vissuto in prima persona e che man mano che noi crescevamo nella narrazione veniva sfoltito degli elementi fantasiosi per essere arricchito di dati reali.
Tenente dell’XI Reggimento Autieri di stanza a Spalato, nel settembre del 1943 mio nonno fu catturato dai Tedeschi con l’accusa di tradimento e complicità con i partigiani jugoslavi, trasferito e internato nello Stamlager X B di Sandbostel in Germania, fino all’aprile del ’44.
Dopo essere stato liberato, rimpatriato e congedato, si unì, qui in Friuli, alla lotta di Liberazione Partigiana col nome di battaglia Diana.
Io, ma come me tanti di noi oggi qui presenti, faccio parte dell’ultima generazione che ha avuto la preziosa possibilità di ereditare la testimonianza diretta delle parole, degli occhi, delle mani di chi la Resistenza l’ha vissuta, di chi la Resistenza l’ha fatta. E questa è una responsabilità enorme e duplice: nei confronti del passato e nei confronti del futuro.
Viviamo in un momento socio-politico in cui la Presidente del Consiglio non riesce nemmeno a pronunciare la parola antifascismo, in un momento in cui la seconda carica dello Stato getta continuamente ombre sulla Resistenza, mettendo perfino in discussione le radici della Repubblica e soprattutto della nostra Costituzione, sulla quale ha giurato e che evidentemente non pare avere mai letto. Viviamo in un momento in cui frange neofasciste, incoraggiate dal silenzio del governo, attaccano l’ANPI chiedendone l’estromissione dalle scuole.
E invece è proprio nei presidi culturali, sociali, educativi come le scuole, i teatri, le piazze, i parchi della nostra città, ma anche i salotti delle nostre case -come faceva mio nonno-, che noi dobbiamo tenere sempre viva e accesa la memoria di un passato tragico e inglorioso, perché non ritorni mai più. E lo dobbiamo fare continuando a raccontare ai più giovani le storie di quegli uomini e quelle donne che 80 anni fa hanno deciso di rivoltarsi al nazifascismo, imbracciando tutto il loro coraggio e il loro desiderio di autodeterminazione e battendosi con forza ma non per forza, contro il peggior sopruso che un essere umano può subire: la privazione della libertà.
Oggi la nostra responsabilità, il nostro dovere devono essere rivolti in egual misura ai ragazzi del ‘43 e a quelli del 2023. Questi ultimi, figli di un’epoca confusa, spesso sfiduciati, incerti e calati nell’esistenza con le loro identità multiple talvolta disgregate, private ed escluse, hanno ora più che mai bisogno di muoversi in una cornice di valori umani e sociali chiari e assoluti e di riconoscerli come imprescindibili, di individuare una bussola con cui orientarsi nella costruzione del loro destino, della loro volontà, del loro sé. Conoscere quale sia il significato della vita veicolato dalla Resistenza, ovvero quello di una proporzione giusta, è la loro enorme occasione. Sì, perché la vita che i partigiani hanno sacrificato aveva una corrispondenza, per quanto drammatica, con ciò per cui stavano combattendo. Una vita si
sacrifica solo per qualcosa di incommensurabile come la libertà o l’amore o il dolore, perché ha un prezzo altissimo e quel prezzo, 80 anni fa, è stato pagato per intero senza sconti. Chi ha fatto la Resistenza l’ha fatta per preparare il terreno a opportunità e condizioni che ci proiettassero oltre a quello contro cui i partigiani hanno combattuto.
Eppure, oggi questo incredibile dono sembra spesso relegato in una buia soffitta.
Stiamo assistendo al rafforzarsi del sovranismo e all’espansione dell’autorità di partiti che sostengono ideologie xenofobe, discriminatorie, omobitransfobiche, maschiliste e, in generale, che rifiutano tutto ciò che è diverso o considerato subalterno a chi detiene diritti e poteri. Nonostante alcuni sostengano che il termine “fascista” sia ormai inutilizzabile per spiegare questi fenomeni, io credo fermamente che non vada rinchiuso nel vile polveroso cassetto dei ricordi, perché non è necessaria una marcia su Roma, un regime dittatoriale, una legge che legittimi la censura o che condanni chi non è conforme ai dettami di un unico partito, per rintracciare nei nostri giorni le avvisaglie di reflussi fascisti. Basti pensare, ad esempio, all’irrobustimento di quella mentalità retrograda e conservatrice che esprime odio per tutto ciò che è estraneo alle origini e quindi classificabile come debole. Basti pensare ai tentativi di semplificazione e alterazione malevola della realtà e dei fatti a suo sostegno. Se per fascismo intendiamo l’espressione della prevaricazione a scapito di chi è considerato debole o, peggio, sbagliato, allora non c’è dubbio che esso non si sia spento nel 1945 con la fine della Seconda guerra mondiale e la Liberazione.
I pericoli per le democrazie del nostro tempo sono insiti anche in quella che spesso è diventata una farsa, in cui il popolo sovrano è chiamato periodicamente a esercitare il diritto di voto, come una comparsa che entra in scena (peraltro sempre più parzialmente) solo al momento delle elezioni, per poi tornare dietro le quinte e cedere il palco a governanti spesso incapaci di riempire con qualcosa di buono, di utile, di misurato, quei luoghi di possibilità lasciatici in eredità dai partigiani.
Ma noi, i nostri ragazzi, le nostre ragazze, abbiamo diritto a un’alternativa.
Ricordare, narrare, celebrare le donne e gli uomini che hanno versato il loro sangue per la nostra libertà, farlo con e per i nostri figli, insegnare a loro a farlo domani coi loro figli è l’unica strada per il rispetto di quell’immenso, crudele ma proporzionato sacrificio che ci ha donato la possibilità, che non possiamo sprecare, di costruire una società di persone libere ed uguali, dove ciascuno possa sviluppare la propria personalità, senza discriminazioni di alcun tipo.

Ora ascoltate questo appello e immaginate ognuno di loro che risponde “Resisto!”. E rispondete anche voi nei vostri cuori:

1. Bigotti Nello n. di b. “Grivò”
2. Bortolotti Italo n. di b. “Ivo”
3. Castiglione Silvano
4. Cesca Mario n. di b. “Nape”
5. Coss Vittorio
6. Fabbro Ferdinando
7. Ferreri Bertillo
8. Ferreri Giuseppe
9. Gobitta Luciano n. di b. “Oscar”
10. Lodolo Giovanni n. di b. “Pino”
11. Mega Rinaldo n. di b. “Marco”

12. Mitri Pietro
13. Pasinato Edgardo n. di b. “Udine”
14. Periz Giobatta n. di b. “Orio”
15. Quoco Alessandro
16. Tomada Galliano
17. Tonizzo Giuseppe n. di b. “Leone”
18. Torossi Tiziano n. di b. “Scure”
19. Vida Galliano n. di b. “Valerio”
20. Zamparo Aldo n. di b. “Pino”
21. Zanuttini Mario
22. Zilli Angelo n. di b. “Ledra”

E Fidalma Garosi Lizzero n. di b. “Gianna”, infermiera dell’ospedale di Udine, staffetta dei Gruppi di Azione Patriottica sulle alpi Carniche e anima di questa celebrazione per decenni.

Voglio chiudere aggiungendo a questi nomi quello di un partigiano dei nostri tempi, un uomo incapace di indifferenza, costruttore di pace, giustizia e accoglienza, compagno e condottiero di battaglie per i diritti degli ultimi, degli indifesi, di tutti noi: Pierluigi Di Piazza.

Sia sempre viva la memoria!
Viva la Costituzione, viva la Repubblica!