Partigiane, partigiani, familiari, autorità, cittadine, cittadini questa significativa cerimonia, che si ripete da molti anni, si colloca all’incrocio tra storia e memoria.
La memoria si trasmette e si diffonde attraverso i libri, i saggi, i racconti e i dialoghi, le testimonianze personali ; attraverso le lapidi, le targhe, i monumenti. Oggi si aggiungono le preziose pietre d’inciampo, ideate e posate dall’artista Gunter Demnig. Ritroviamo queste pietre anche a Udine, in molte città italiane e straniere. Colpiscono perché guardiamo i portoni e le case e ripensiamo a tutti coloro che sono stati inghiottiti e uccisi nei campi di sterminio. Da questo punto di vista mi ha particolarmente colpito e commosso la casa di Anna Frank ad Amsterdam: il contesto urbano di oggi ci consente di misurare anche la distanza tra il passato e il presente.
Memoria e storia, dicevo. E dobbiamo sempre tener presente come nacque il fascismo. La presa del potere con la violenza, lo squadrismo, gli attacchi alle sedi sindacali bianche e rosse, alle Camere del Lavoro, l’olio di ricino agli avversari politici, il delitto Matteotti. Come ha efficacemente sintetizzato Annalisa Savino, la famosa Preside del Liceo Scientifico Leonardo da Vinci di Firenze : «Il fascismo in Italia non è nato con le grandi adunate di migliaia di persone. È nato ai bordi di un marciapiede qualunque, con la vittima di un pestaggio per motivi politici che è stata lasciata a se stessa da passanti indifferenti». E non dimentichiamo mai l’ammonimento di Corrado Stajano «Il fascismo rinasce sempre in forme diverse».
Ricordiamo sempre le lucide parole di Paola Del Din, medaglia d’oro al valor militare , oggi presente: «La libertà non ci è stata regalata, ce la siamo pagata a caro prezzo». Tra le conquiste raggiunte dalla Resistenza ricordiamo il voto a suffragio universale. Probabilmente se chiedessimo a un ragazzo d’oggi quando le donne hanno avuto diritto al voto, ci direbbe «All’inizio del Novecento». Come sappiamo, non è così. Da questo punto di vista per la generazione delle madri e dei padri il voto libero è stata una straordinaria conquista; ma anche per la mia generazione, diciamo pure ‘sessantottesca’, il voto ha rappresentato un momento imprescindibile della battaglia politica. Sappiamo però quanto si diffonda e dilaghi, almeno dagli anni ’90, il fenomeno dell’astensionismo. E mi colpisce il fatto che di questo inquietante fenomeno si parli solo per pochi giorni, dopo ogni appuntamento elettorale. Il fenomeno è certo complesso e sarebbe compito di tutte le forze politiche interrogarsi a fondo su cause e rimedi.
E veniamo a questo luogo, le Carceri di Via Spalato lungo i mesi del 1945. Grazie alle attente e minuziose ricerche dell’indimenticabile Luigi Raimondi Cominesi, possiamo ricostruire la vita quotidiana di questo carcere in quei mesi. Possiamo cogliere la solidarietà, le crudeltà, la presenza di spie e delatori, la fame, la paura: e ci pare di risentire il rumore topico delle sbarre colpite dai secondini con un pezzo di ferro.
Dal Dicembre 1943 al Gennaio 1945 furono tradotti in Via Spalato circa 13.000 detenuti politici. Il carcere complessivamente riuniva, oltre ai reclusi comuni, partigiani, antifascisti, persone solo sospettate di fiancheggiare la Resistenza, semplici cittadini fermati in retate da utilizzare poi come ostaggi per rappresaglie. E ancora uomini trasferiti dalla famigerata Caserma Piave di Palmanova; transitarono inoltre per Via Spalato persone che furono inviate a S. Sabba o ai campi di concentramento nazisti.
Lavoravano all’interno del carcere tedeschi e italiani: il servizio di guardia esterno era affidato ai Cosacchi. Nonostante tutto, fu comunque garantito un collegamento tra l’interno del carcere e le forze antifasciste all’esterno.
Il 7 Febbraio 1945 una ardita azione del GAP comandato da Romano Il Mancino riuscì, con uno stratagemma, a liberare 73 prigionieri, tra cui un sacerdote e due prigionieri alleati. La notizia di questa azione ebbe una vasta risonanza nazionale e internazionale: ne parlarono anche Radio Londra e Radio Mosca.
Pochi giorni dopo si abbatté la tremenda rappresaglia tedesca. Ventitré innocenti furono prelevati dal carcere , portati al Cimitero e fucilati; il plotone di esecuzione formato da militi fascisti era comandato da un capitano tedesco. In ricordo di questa barbara rappresaglia, come sappiamo, ogni anno si svolge una cerimonia in Cimitero nel luogo di questa esecuzione.
Il 14 Marzo 1945 una quarantina di detenuti viene portato da Via Spalato al Tribunale di Udine. E dopo un processo-farsa, senza difensori, 37 persone furono condannate a morte. Il comandante Mario Modotto (Tribuno) scrisse : «Il giorno della condanna noi non bevemmo neppure un sorso di liquore, eppure cantammo le nostre canzoni sapendo che si andava a morire per una giusta causa. In verità quando quel signore pronunciò la pena di morte io non tremai e neppure mi batté il cuore. Lo guardavo e gli ridevo come se avesse detto ‘Sei libero’. Accettai la sua condanna con fierezza… stracciai la domanda di grazia. Ho lottato e non sono pentito. Avrei voluto dare di più e me ne rammarico.
Quella notte nessuno dormì: tutti erano concentrati per riuscire a udire il rumore dei camion che avrebbero dovuto venire a prelevarci: cose che normalmente avvenivano alle prime luci dell’alba ». Ci sarà poi la sospensione temporanea della pena: cominciarono allora i giorni della paura e della speranza. Si pensò a piani di evasione, anche in collegamento con l’esterno. Rimaneva sempre valida la prospettiva di uno scambio con ufficiali tedeschi prigionieri dei partigiani italiani e sloveni del IX Corpus. Ci fu anche un intervento dell’Arcivescovo di Udine mons. Nogara. Il giorno di Pasqua del 1945 l’Arci vescovo aveva detto ‘messa grande’ in carcere. Si riaccesero delle speranze: correva voce di una lista di condannati da salvare.
Venne il 9 Aprile 1945, la domenica in albis, la domenica che segue la Pasqua. I patrioti furono divisi in tre gruppi e fucilati all’interno del carcere. A finire i moribondi provvide un Maresciallo che sparava a bruciapelo il colpo di grazia al capo.
Dice un passo significativo del Talmud «Una persona viene dimenticata quando viene dimenticato il suo nome». Con questo spirito leggo il nome dei fucilati:
Angelo Adamo NAPE
Gio Batta Beccia KARKOV
Umberto Bon BENSI
Matteo Bossa D’ARTAGNAN
Luigi Ciol
Giunio Coloricchio OLC
Luigi Coradazzi ATTILA
Francesco Del Vecchio BIANCHI
Eugenio De Prato SOLITARIO
Giuseppe Favret GOTTI
Ovidio Favret ANTHOS
Mario Foschiani GUERRA
Salvatore Genovese ROMOLO
Giovanni Ghidina MARTELLO
Albino Gonano BILL
Grarhely Luigi WALTER
Elio Livoni ALTEZZA
Mario Modotti TRIBUNO
Valentino Monai BON
Antonio Morocutti TOM
Leandro Nonini COLOMBO
Gino Nosella
Enrico Pascuttini DINO
Elio Polo DANI
Arduino Potocco NEMBO
Ennio Radina BARBA
Benito Siniciallli GALLO
Giulio Tesolin STENO
Napoleone Zompicchiatti TIGRE
Dopo pochi giorni, il 1° Maggio, Udine era liberata.