Carissimi partigiani e deportati nei lager, e loro familiari, carissimi concittadini di Udine, città insignita con la Medaglia d’Oro per la lotta di Liberazione contro il nazifascismo, a nome di tutto il Friuli, e Sindaci qui convenuti, sono davvero onorato ed emozionato nel prendere oggi la parola in occasione di questo anniversario che ricorda la barbara uccisione di 29 partigiani garibaldini e osovani avvenuta alle carceri di Udine il 9 aprile del 1945. Ringrazio in primo luogo l’Anpi, per avermi concesso questo privilegio e, soprattutto, per l’instancabile attività di cura, presidio e attualizzazione della memoria della Resistenza e dei valori della nostra Costituzione. E consentitemi di rendere in premessa un sincero e rispettoso ringraziamento a chi in questi anni, da questo e da altri luoghi, a nome dell’Anpi e di tutti noi, si è prodigato in questo scopo: grazie Federico Vincenti, grazie Luciano Rapotez, grazie Elvio Ruffino, grazie Romano Marchetti, e grazie ai tanti altri e alle tante altre che non ci sono più, che non nomino per brevità ma il cui impegno civile e politico rimarrà indelebile!
Ricordare ha un’etimologia bellissima: deriva infatti dal latino re-cordari, ovvero richiamare al cuore, poiché gli antichi lo pensavano sede della memoria, da Oscar Wilde ritenuta il diario che ogni giorno ognuno porta con sé. Anche chi non se ne rende conto, anche chi consapevolmente o inconsapevolmente è portato a rimuovere, anche chi è portato a bollare e liquidare con superficialità o furia ideologica, anche solo nella libertà di dirlo si porta con sé l’esperienza di questi partigiani come se fosse una pagina del proprio diario.
È nostro compito, cari concittadini, non dimenticare mai questi 29 eroi, non dimenticare il loro estremo sacrificio, non dimenticare le torture e le umiliazioni che lo hanno preceduto. Condannati a morte il 14 marzo del 1945 dopo un vile processo farsa, svoltosi in tedesco e senza alcuna possibilità di difesa dall’accusa generica di banditismo espressa da loschi personaggi riconosciuti in seguito come criminali di guerra, rimasero quasi un mese in attesa dell’esecuzione. Vi prego, cari concittadini, di soffermarvi brevemente sulla data: la guerra stava per terminare, l’Italia e il Friuli avrebbero, in relativi pochi giorni, conosciuto la gioia della Liberazione e della pace, le truppe nazi-fasciste erano ormai capitolate ed erano interessate solamente a mantenere aperta la possibilità di fuga dei singoli o di ritirata dei reparti. Nonostante questa situazione, però, in quei giorni finali di conflitto e di capitolazione per il nemico occupante, non sono poche le stragi a danno dei partigiani e della stessa popolazione civile: Cervignano e Terzo (29 e 30 aprile, 34 vittime), Feletto Umberto (30 aprile, 15 vittime), Avasinis (2 maggio, 51 civili), Ovaro (22 vittime). Poche di queste stragi sono eccidi, conseguenza e ritorsione bestiale di azioni partigiane: queste stragi, compiute dai nazifascisti, rientrano, nella maggioranza dei casi, in ciò che è stata chiamata “guerra ai civili”, praticata per ingiungere terrore a anziani, donne e bambini sulla base dell’odio, della crudeltà umana contro i partigiani, non riconosciuti come combattenti ma con disprezzo definiti banditi e passati per le armi. E non si può in alcun modo affermare che fu colpa degli stessi partigiani se questi crimini vennero, in fondo compiuti, come se fosse preferibile rinunciare ad affrontare il nemico per evitarne la stessa furia omicida: le espressioni che ancora oggi tonificano i commenti dei perbenisti e dei benpensanti nostrani rispetto ad odiosi fatti di cronaca – mi riferisco ai frequenti fatti di razzismo o alle violenze sulle donne – “Se l’è andata a cercare! Poteva evitare” sono piccole ma significative concessioni agli unici colpevoli perché non prendono le distanze dal carnefice e sembrano, in parte, giustificarne il comportamento. I partigiani che “se la sono andata a cercare” e le forze alleate hanno aiutato la nostra Italia e la nostra Europa a raggiungere ciò che di più alto che un essere umano e una comunità possano desiderare, la libertà. Essi hanno aiutato la nostra Italia e la nostra Europa a cessare un incubo che ci aveva trascinato verso il basso, a porre termine ad un’odiosa dittatura che ci aveva privato delle libertà fondamentali, che si era imposta con la violenza e il sangue, che aveva eliminato gli oppositori politici, che aveva perseguitato e costretto all’esilio alcune tra le migliori intelligenze del secolo, che aveva confinato i libici nei lager, che aveva invaso gli Etiopi con il gas, che aveva approvato le leggi razziste del 1938, che aveva praticato la pulizia etnica nei confronti delle persone di origine slava, che aveva come naturale sbocco la guerra, poi dichiarata, con le invasioni dell’Albania, della Grecia e della Jugoslavia. Il fascismo si è rivelato, come notò lucidamente il liberale Piero Gobetti, grazie alla complicità della finta inerzia e della comoda neutralità di un’Italia già stremata dal primo conflitto mondiale ed, oltre ovviamente a negare i diritti, ha finito, come è tipico dei fascismi, per scaricarsi sui più deboli, sul popolo, prima sostenitore poi vittima. Nessuno, nella vita, è neutrale. La neutralità è una finzione, una comodità. I nostri comportamenti, le nostre scelte, in ogni modo, sono maggioranza o minoranze, influiscono sul sentire comune, sul sentire generale. Essi possono essere determinanti. Come è purtroppo pratica diffusa oggi nel mondo, che vede 70 Stati coinvolti in conflitti, rifarsi sui più deboli che sono utilizzati come rivalsa, come ritorsione, come ricatto, pensate soltanto, cari concittadini, alla pratica odiosa delle mine – denunciata dalle ong che qualcuno, scientificamente, criminalizza – di cui anche il nostro Paese è fiero esportatore.
Care amiche e cari amici, il sacrificio di questi eroi è stato un evento doloroso: ancora oggi lo è, se ripensiamo alle loro giovani vite spezzate, al dolore dei familiari e degli amici, ancora più forte perché sarebbero stati sufficienti ancora pochi giorni per aver salva la vita: il loro sacrificio è un sacrificio immenso e quanto di più alto possiamo noi immaginare, poiché si batterono e morirono per la realizzazione di un’idea, di un ideale che non riuscirono mai a toccare con mano: è stato, il loro, un sacrificio doloroso ma non vano per il tribunale della Storia e della Giustizia umana che ha bisogno sempre di testimoni forti nell’esempio e nella lucidità. Per queste mura, dal dicembre 1943 al gennaio 1945, transitarono quasi 13 mila politici tra cui circa 1800 donne, in queste mura furono compiute umiliazioni e torture. Insieme a loro voglio qui ricordare gli oltre ventimila donne e uomini che, in maniera volontaria, parteciparono alla lotta di Liberazione qui in Friuli e in Carnia. 2600 i morti, 7000 i deportati e 1600 i feriti: un sacrificio alto che consente alla città di Udine, a nome di tutto il Friuli, di poter essere ricordata come Medaglia d’Oro al Valor Militare per la Lotta di Liberazione. Sono convinto che, con lo stesso spirito unitario che ha animato nello scorso mandato questa richiesta, nella quale si sono ritrovati l’Anpi, l’Apo, l’Istituto friulano per la storia del movimento di Liberazione, l’Aned, le associazioni ambientaliste, l’Ordine degli architetti, anche l’attuale Amministrazione comunale di Udine, qui rappresentata dal vicesindaco Loris Michelini, voglia portare avanti l’iter – avviato nelle scorsa consiliatura – per fare in modo che il monumento alla Resistenza di piazzale XXIV luglio, ideato dagli architetti Gino Valle e Federico Marconi con la scultura di Gino Basaldella, a 50 anni dalla sua inaugurazione grazie all’impegno fondamentale dell’allora sindaco Bruno Cadetto, possa diventare monumento nazionale.
Cari cittadini, la Resistenza antifascista fu lotta armata coraggiosa e resistenza civile. Da essa nacque l’idea degli Stati Uniti d’Europa, retta dalla solidarietà, dalla fratellanza, dall’amicizia. Un sogno che si è in parte realizzato e che va difeso e compiuto anche riformandolo, perché rimane l’unico processo in grado di sconfiggere i concetti di confine, di superiorità, di esclusione contenuti nell’idea degenerata di nazione, ovvero il nazionalismo. La Resistenza fu nuovo umanesimo: la rinascita politica dell’Italia repubblicana è stata resa possibile grazie alla presa di coscienza collettiva dal basso unita ad una rivolta morale. L’antifascismo è ciò che ha dato concretezza e pienezza ad un processo di Liberazione perché ha aiutato la vittoria militare a essere vera rigenerazione, vero riscatto, vera costruzione. Senza di esso, molte persone in Italia hanno sostenuto il Fascismo senza ribellarsi agli orrori che stava compiendo, adattandosi senza colpo ferire a questa concezione del mondo. La peggiore delle democrazie è sempre preferibile alla migliore delle dittature: si sentono con sempre più frequenza discorsi, non confinati più solo alle chiacchiere da bar, che invocano l’uomo e il partito forti. L’Italia e l’Europa sono su un crinale molto pericoloso: disoccupazione; mancanza di lavoro per i nostri giovani che spesso sono poveri nonostante un’occupazione, in quanto sottopagati e sfruttati; solitudine, che è la condizione in cui vivono tanti nostri anziani ma che è anche il silenzio in una società fin troppo rumorosa, del chiacchericcio continuo; rancore, cioè il risentimento sul quale viene fondata e legittimata la violenza del nostro linguaggio e del nostro pensiero. Il successo recente dei partiti populisti non nasce per caso ed è una dimostrazione di un nascente e diverso paradigma politico determinato da una tensione latente fra domanda e offerta di protezione sociale: i cambiamenti tecnologici e la globalizzazione hanno portato, da una parte, ad una crescente vulnerabilità di vasti strati della popolazione che chiede sempre di più, protezione; dall’altra, è persistente un atteggiamento di sfiducia verso chi dovrebbe offrire questa protezione e, dunque, si pensa di percorrere altre strade, rivolgendosi ad outsiders che non abbiano in apparenza alcun legame con la classe dirigente. I cosiddetti populismi, prima che su quello politico, si sono affermati sul piano politico grazie ad una ragione che al tempo stesso è economica (l’impoverimento, la perdita di reddito e di sicurezza) e culturale (la sfiducia verso le classi dirigenti). C’è un ceto medio-alto che in questi anni, nei Paesi cosiddetti più avanzati, ha pagato e continua a pagare il prezzo più alto della globalizzazione. Oggi la democrazia, la nostra conquista più grande, figlia di un processo largo e plurale generato dalla spinta della cultura cattolica, marxista, liberale, rischia la trasformazione in quella che è stata chiamata la democratura, cioè rischia di mutarsi in un regime politico improntato sì alle regole formali della democrazia, ma ispirato nei comportamenti ad un autoritarismo sostanziale, nel quale il diritto della forza sostituisce la forza del diritto e di una società che condivide i doveri e le responsabilità, a vantaggio, ovviamente, dei più furbi e dei più forti. E a rischiare sempre di più è proprio la Patria del Diritto, ovvero l’Occidente che per disorientamento, incapacità, debolezza è diventata la terra che anziché dare speranza la nega, anziché gestire razionalmente le sfide e i problemi li favorisce, li fomenta, li rassicura.
Cari concittadini, se è indubbio che il periodo che stiamo vivendo presenta aspetti di notevole complessità e di difficoltà verso i quali non siamo ancora preparati, senza voler in alcun modo operare classifiche è da riconoscere che l’Italia e la nostra Europa, nel loro passato, hanno vissuto periodi peggiori di questo come quello della dittatura fascista e della II guerra mondiale: il sacrificio di questi 29 eroi appare allora ancora più grande ai nostri occhi, considerata anche la loro giovane età e il futuro che si sono personalmente negati. Anche noi, per il periodo che ci compete, cioè per l’epoca che stiamo vivendo, credo dobbiamo, dietro il pessimismo della ragione, riuscire a cogliere e a rppresentare l’ottimismo di tante significative volontà che in questo periodo stanno illuminando un cammino diverso, esaltante, carico di speranza e di fiducia, critico verso le soluzioni di comodo e disposto a rinsaldare quel legame ideale e concreto tra l’epopea della Resistenza e la salute della democrazia. Mi riferisco, per esempio, alla volontà di Greta Thunberg e dei suoi coetanei, che il 15 marzo in tutto il mondo hanno scioperato per il clima, per chiedere ai governi politiche e azioni più incisive per contrastare il cambiamento climatico e il riscaldamento globale, vera emergenza del nostro tempo: un movimento dal basso, spontaneo e bellissimo che ci ricorda che noi apparteniamo alla Terra e non viceversa; mi riferisco al calore di 50 mila studenti che hanno sfilato lo scorso 21 marzo a Padova per la 24° Giornata della memoria e dell’impegno, grazie all’associazione Libera di Don Luigi Ciotti, per chiedere giustizia, in un Paese che da 163 anni ha il cancro delle mafie, e memoria, perché il primo diritto di ogni persona è essere chiamato per nome; mi riferisco alla lucidità di Rami, cittadino marocchino di 13 anni, eroe del bus dirottato da un pericoloso malvivente, nel cui nome si è scatenata l’ennesima ipocrisia elettorale del ministro dell’interno che dapprima ha bullizzato questo ragazzo dicendogli di candidarsi alle elezioni, per poi arrivare ad approvare la concessione della cittadinanza, quasi fosse il sovrano del nostro Paese; mi riferisco alla piazza di Verona del 30 marzo che sfilava con i colori dell’arcobaleno per ribadire che l’unica famiglia è quella felice e che le battaglie democratiche passano per l’affermazione dei diritti delle donne, oggi di nuovo fortemente in discussione, mentre la destra radicale e integralista, insieme a tre ministri del Governo italiano, svolgeva le proprie prove generali in vista del voto europeo; mi riferisco a Simone, del quartiere Torre Maura di Roma, che da 15 enne ha sfidato il leader di Casa Pound con parole semplici ma risolute: “Lei – ha detto Simone rivolto ad Antonini – fa leva sulla rabbia della gente. Non mi sta bene che bisogna sempre andare contro la minoranza. Secondo me nessuno deve esse lasciato indietro. Né italiani, né rom, né africani, né qualsiasi tipo de persona Io non c’ho nessuna fazione politica. Io sono di Torre Maura”, ricordando come il razzismo sia nemico delle povertà; mi riferisco a Giulio Regeni e ai suoi straordinari genitori a cui dico che siamo e continueremo ad essere con loro nel chiedere Verità e Giustizia!
Non dobbiamo ripartire da loro, ma essere all’altezza delle sfide che essi ci pongono, come individui e come società. Come diceva Aldo Moro, la verità e la sua ricerca sono sempre illuminanti, essi ci aiutano ad essere coraggiosi. Forse non tutto è perduto e il risveglio civile speriamo sia destinato a suonare sempre di più della loro spontanea e non ideologica radicalità nell’affrontare i processi del nostro tempo: persone che non sono abituate ad avere confini, se non a sventolare la bandiera di una nuova civiltà, aperta, dialogante, laica, solidale. E noi che siamo, ancora una volta, qui non celebriamo un rito stanco e indebolito dallo scorrere del tempo, ma rinnoviamo il senso profondo che ci rende essere umani, come cittadini, come associazioni e come Istituzioni.
Onore a questi 29 caduti, viva sempre in noi il loro ricordo! onore alla Resistenza e alla nostra Costituzione! W l’Italia democratica e l’Europa!