La composizione artistica di Flavio Tomasin sull’olocausto (Holos Kaustos: tutto bruciato) si articola su una struttura simile a una spina dorsale, colonna di forme, frammenti di gesta e pezzi colorati/sfarinati di un’umanità residua che nessuna memoria più contempla. Se l’olocausto ebraico è stato (e resta tale) l’evento cardine di una disintegrazione dell’umanità, la scultura che da sempre è silenzio, qui invece avanza con un incedere muscolare in una epicità della parola -nella materia-nel corpo-nel gesto che investe il tema di una rappresentazione artistica alla quale viene concesso in modo ineluttabile il permesso di invadere un comparto storico così sensibile. Le forme in questo contesto sono magma, impaccio, stracciato perché evidenziano il senso, l’epidermide contratta, l’emergere di un sentimento convulso ma significativo. Non trattenere questo sentimento diventa imperativo per Flavio Tomasin in quanto già autore di una scultura per Mario “Sasso” Fantini e una fraterna amicizia con Dino “Pepi” Zanuttin, il ragazzo francese “Nanò” come lo descrisse il senatore Bacicchi e per quanto possa essere manifesta l’arte in propositi così imponenti come la storia si articola rende esplicita la propria adesione a una giornata della memoria che timidamente chiude gli occhi ma apre l’anima a contenere l’immenso di un’umanità che non può più parlare ma consolida il cammino di chi guarda avanti.