Orazione di Roberta Nunin alla commemorazione a Cervignano del Friuli il 22 marzo


CERVIGNANO DEL FRIULI 22 MARZO 2025
ORAZIONE PER LA COMMEMORAZIONE DI ANTONIO FEDRIGO “Lampo”, IDILIO CAPPELLETTO “Lampo”, DERNO PARAVANO “Milo” e GIORGIO DE SANTI “Milan” giustiziati dai nazifascisti il 22 marzo 1945

Gentili Sindaci dei Comuni di Carlino e di Cervignano del Friuli, Cittadini e cittadine, Autorità presenti, Compagni e compagne delle Sezioni ANPI di Carlino-Marano e di Cervignano del Friuli, oltre che delle altre Sezioni ANPI presenti,
Ringrazio l’ANPI provinciale e le Sezioni ANPI di Carlino-Marano e di Cervignano del Friuli che mi hanno onorata con l’invito ad essere qui con voi per ricordare le brevi ma intense ed esemplari vite di ANTONIO FEDRIGO “Lampo”, IDILIO CAPPELLETTO “Lampo”, DERNO PARAVANO “Milo” e GIORGIO DE SANTI “Milan”, giovanissimi partigiani fucilati dai nazifascisti il 22 marzo 1945, esattamente ottant’anni fa.

Quattro giovani, tra le tantissime vittime cadute per mano della barbarie nazista e fascista, che seppero trovare la forza ed il coraggio di opporsi ad essa, scegliendo senza tentennamenti il percorso arduo e rischioso della resistenza ad un regime brutale e sacrificando, con molti altri uomini e donne, le loro vite per consentire al nostro Paese, e a noi che li ricordiamo oggi e qui ci inchiniamo alla loro memoria, di vivere nella libertà e nella democrazia.

Proprio per la gratitudine che dobbiamo loro, credo sia importante ricordarne – soprattutto a beneficio dei più giovani – alcuni tratti biografici. Biografie brevi, come brevi sono state le loro vite, ma esemplari di una capacità matura di discernere con chiarezza da che parte stare in una fase drammatica e cruenta della nostra storia.

Antonio Fedrigo, nome di battaglia “Lampo”, era un mugnaio ed era un componente dei Diavoli Rossi, celebre formazione dei GAP che, tra le altre imprese, fu protagonista della clamorosa azione per la liberazione dei prigionieri del carcere di Udine del 7 febbraio 1945, oltre che di decine di scontri e battaglie fino all’agognata Liberazione. Pur così giovane, Antonio morendo lasciò un figlio di pochi mesi, al quale sento di dover rivolgere a nome di tutti un pensiero particolarmente affettuoso di vicinanza ed il ringraziamento per il sacrificio di suo padre che immagino egli abbia potuto conoscere solo attraverso la memoria e la narrazione dei compagni con cui aveva combattuto e di chi gli aveva voluto bene. Catturato e condotto il 14 marzo nella famigerata Caserma Piave di Palmanova, centro di feroce repressione antipartigiana e di tortura, dove operava la sinistramente nota banda Ruggiero, prima di essere fucilato la sera del 22 marzo, insieme agli altri tre giovanissimi combattenti che oggi con lui ricordiamo, sappiamo che Antonio venne torturato per otto lunghi giorni: toccò al padre, riconoscendone la salma, vedere anche i segni tremendi delle torture subite dal figlio. Una circostanza, questa, che, con un salto temporale – ma non così azzardato, se riteniamo che i valori che ispirarono i giovani partigiani di allora siano pienamente attuali anche oggi – mi porta a rivolgere un pensiero affettuoso ai genitori di Giulio Regeni, anch’egli giovane uomo di queste nostre terre, che voleva testimoniare con il proprio lavoro di ricerca i valori di libertà, solidarietà, democrazia, rispetto della dignità umana. Perché il male – quel male che videro i familiari di fronte ai corpi straziati dei loro figli partigiani, è ancora tra noi, e oggi tocca a tanti genitori – come è accaduto ai genitori di Giulio e come accade purtroppo ogni giorno nei territori martoriati dalle terribili guerre in corso – vedere sui figli e le figlie i segni di tutto il male del mondo.

Assieme a “Lampo”, in quel 22 marzo di ottant’anni fa, caddero sotto il fuoco vile dei nazifascisti un altro “Lampo”, Idilio Cappelleto, anch’egli solo diciottenne ed anch’egli, prima di venire ucciso, passato dalla terribile cella di tortura di Palmanova; Derno Paravano, di poco più anziano, viveva a Pocenia e, oltre a lavorare come contadino, svolgeva l’attività di intendente per la “Montes” ed era stato catturato qualche settimana prima. Infine, Giorgio De Santi, “Milan”, era un giovane studente di ingegneria,gappista proveniente da Milano e anch’egli, per stessa testimonianza dei suoi carnefici, “venne sottoposto ad un duro trattamento” dopo la cattura; la madre poté conoscere la sorte del figlio solo molti mesi dopo la liberazione, nel settembre del 1945.

Questa è la breve storia dell’epilogo di queste giovani vite; in questo caso,le famiglie poterono almeno conoscere la verità e le responsabilità, come sappiamo da testimonianze ed atti processuali successivi. Per tanti altri, questo non accadde mai.

Conoscere e ripercorrere queste vicende non può però essere solo e semplicemente rivolgere uno sguardo al passato, ma deve spingerci a fare attivamente memoria, in un momento nel quale per la memoria sembrano restringersi gli spazi, non solo per l’inesorabile venir progressivamente meno dei testimoni diretti, ma anche per la postura talora assunta, da soggetti con precise responsabilità istituzionali, rispetto alle vicende della nostra Resistenza, ritenute da alcuni ormai nient’altro che una fastidiosa ricorrenza da eludere, ove possibile, o cosa ancora peggiore – oggetto di un tentativo di disinvolta riscrittura, indulgendo alle peggiori amnesie revisioniste e cercando di negare (o quantomeno di occultare) le precise responsabilità di chi scelse di stare dalla parte di un regime che, dopo aver soffocato ogni libertà democratica e dopo essersi macchiato delle peggiori nefandezze (dalle guerre coloniali alle leggi razziali) aveva condotto il nostro Pese nel baratro di una scellerata guerra di aggressione, fianco a fianco con i sodali nazisti.

Dobbiamo ancora una volta ribadirlo: di fronte alla barbarie del nazifascismo, non era affatto la stessa cosa – come pure taluni vorrebbero farci credere, invocando a sproposito una comune pietas per tutti i morti – schierarsi a baluardo e difesa di un regime violento, misogino, omofobo e razzista o, invece, decidere di combattere questo stesso regime con tutte le proprie forze, in armi e senz’armi, come ad esempio fecero – e qui voglioricordarle – anche tante donne, protagoniste in prima persona, in Friuli come altrove, di una resistenza per buona parte di loro disarmata ma non meno coraggiosa ed importante, perché anch’essa comportava ilquotidiano rischio della vita, attraverso il supporto come staffette alle formazioni partigiane, l’impegno a nascondere renitenti alla leva e famiglie ebree, altrimenti destinati alla morte o alla deportazione, a curare i feriti, ad assicurare rifornimenti e comunicazioni tra i partigiani  e le loro famiglie.

E che, anche nei momenti più bui, fosse possibile fare scelte diverse, ce lo ricordano coloro che fin dall’inizio coraggiosamente alzarono la loro voce per denunciare quello che il fascismo significava e per indicare il disastro al quale avrebbe inevitabilmente condotto l’Italia, con la soppressione di ogni spazio di democrazia, di libertà di pensiero e di azione politica, e con la pratica sistematica della violenza più brutale verso gli oppositori: pensiamo a Matteotti, a Gramsci, ai fratelli Rosselli, a don Dossetti, e alle tante altre figure di uomini e donne, militanti politici, sindacalisti, intellettuali, insegnanti, operai, imprigionati, confinati, costretti all’esilio – ma sempre ed orgogliosamente resistenti – durante i lunghi anni della dittatura, che insieme contribuirono, nella diversità delle culture e del posizionamento ideologico, a porre le basi per quella resistenza di popolo che riuscì, con il sacrificio di tanti e tante, a restituire dignità al nostro Paese.

Solo la conoscenza della storia consente dunque una vera pratica attiva della memoria e consente di svelare ogni tentativo, più o meno maldestro, di riscrivere la storia stessa.

Proprio guardando a questi inquietanti tentativi, in un’Europa che come mai prima d’oggi appare confusa e smarrita, attraversata da pericolosi rigurgiti e malate nostalgie di un passato nefasto, in un’Europa che sembra voler recuperare da parte di alcuni un tragico lessico (guerra, riarmo) che speravamo superato da decenni, abdicando a quello sforzo strenuo ma indispensabile, che anche la nostra Costituzione impone – chiamando espressamente la nostra Repubblica al ripudio della guerra e segnalando come debba essere inesaustamente percorsa la strada, certo difficile, del sostegno all’azione diplomatica per comporre i conflitti appare necessario essere numerosi e coesi nel riaffermare non solo il valore, ma il dovere dell’antifascismo, in Italia ed in Europa, nella consapevolezza di quanto ciò sia necessario in una società che sembra aver perso i fondamentali riferimenti civili, politici e culturali che sempre dovremmo trarre dai precetti della nostra Carta costituzionale, che ieri come oggi ci invita a custodire con attenzione e cura i valori preziosi della democrazia, della libertà, dell’eguaglianza, del rispetto della dignità della persona e delle diversità, della solidarietà, e – appunto – del ripudio della guerra.

L’ANPI in questo è saldamente presente e protagonista, impegnata in primo luogo a parlare con i giovani, perché il patrimonio ideale di cui la nostra Costituzione è portatrice diventi per loro stella polare e stimolo per conservare la memoria del sacrificio e delle speranze di tutti gli antifascistie le antifasciste protagonisti della Resistenza, ai quali ed alle quali dobbiamo una preziosa eredità. Un dovere civile, dunque, che chiama tutti e tutte noi a perseverare nell’esercizio quotidiano della democrazia, anche quando questo appare faticoso, e anche e soprattutto quando l’emergere – in nuove vesti – di vecchi disvalori e parole d’ordine, che legittimamente si poteva ritenere fossero stati definitivamente consegnati alla discaricadella storia, potrebbe farci cadere nello sconforto.

Parlare, qui ed oggi, di questi giovani massacrati per i loro ideali e la loro fede nella possibilità di un diverso e più degno futuro di democrazia, vuol dire anche ricordare che i diritti e le libertà, faticosamente conquistati a prezzo di tanto sangue, non sono necessariamente per sempre. Come ricordava Piero Calamandrei, nel famoso discorso tenuto nel 1955 aglistudenti di Milano, La costituzione è un pezzo di carta: la lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile, bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità”.

Queste parole sono ancora oggi un potente richiamo alla nostra responsabilità, collettiva e individuale, e ci impongono di vigilare costantemente su quel “mai più” che emerge con cristallina nettezza dalla nostra Carta Costituzionale. Così come, ad un rinnovato impegno per un’Europa, pacifica, solidale, garante dei diritti di tutti e per tutti, ci chiama quel Manifesto di Ventotene, elaborato quando il mondo intorno crollava devastato dal totalitarismo e dalla guerra, eppure c’era chiriusciva, dal duro isolamento del confino imposto dal regime fascista, con la sola forza della parola e del pensiero, a prefigurare l’idea di un futuro diverso, affidato non all’azione di un singolo partito politico, ma di un movimento trasversale che potesse realizzare quell’idea di un’Europa federale, pacifica, libera ed unita. Idee straordinarie, che oggi più che mai, nel difficile quadro geopolitico che stiamo vivendo, dovrebbero essere fonte d’ispirazione, e non certo svilite, come purtroppo è accaduto in questi giorni, a partire dalle parole pronunciate qualche giorno fa della Presidente del Consiglio, che abbiamo visto suscitare in molti un condivisibile sdegno.

L’impegno dunque al quale tutte e tutti siamo chiamati non può che tradursi in una ferma denuncia e condanna di ogni postura e deriva che trasformi la dialettica democratica in una inquietante “democratura”,involuzione che già si presenta in diversi Paesi, in cui ciò che conta è lasola figura del leader, con un progressivo depotenziamento dei Parlamenti; in una ferma denuncia e condanna di ogni attentato alla divisione dei poteri, ai delicati meccanismi di bilanciamento tra gli stessi, ed al ruolo indipendente ed autonomo della magistratura, pilastro necessario di ogni sistema democratico; in una ferma denuncia e condanna di ogni attentato, diretto ed indiretto, alla libera e pacifica espressione del dissenso ed alla libertà di stampa.

Se è vero che la storia non si ripete mai identica, certamente segnali preoccupanti emergono chiari anche in Italia, a partire dai vari interventi miranti a riscrivere parti della Costituzione ridisegnando secondo logiche che non possiamo condividere l’equilibrio tra i poteri, come avviene per ilprogetto del cosiddetto premierato, ma anche, sia pure con il diverso strumento della legislazione ordinaria, con l’inquietante disegno di riforma della giustizia e con il ricorso sempre più frequente ad unesaltazione del diritto penale e dell’inasprimento delle relative sanzioni come sola edunica leva per affrontare questioni complesse (dall’immigrazione ai femminicidi), alle quali non si può certo rispondere unicamente in questo modo.

Se tale è il contesto, la memoria dei martiri della lotta al fascismo, come questi giovani uomini che oggi qui ricordiamo, ci impone di rinnovare il nostro antifascismo ogni giorno, di essere testimoni verso le generazioni più giovani dei valori democratici e costituzionali con l’esempio, e di non cessare di sostenerli e di praticarli, nell’azione individuale così come in quella collettiva: la pace contro la guerra, la democrazia contro il totalitarismo, l’eguaglianza contro le discriminazioni, il valore della persona e della sua dignità contro ogni forma di sfruttamento e di disumanizzazione di chi viene presentato (e rappresentato) come “diverso”, “straniero”, e perciò necessariamente pericoloso.

Quanto a noi militanti dell’ANPI, certamente non ci faremo intimidire da tali derive, ma saremo sempre pronti ad alzare la voce con fermezza per denunciarle, consapevoli della nostra storia e del grande debito che abbiamo contratto, legato al sacrificio di tanti uomini e donne che – resistendo e combattendo per la libertà contro la dittatura fascista – ebbero il coraggio di mettere a rischio le proprie vite in difesa dei valori democratici. Quei valori che, consacrati nella nostra Costituzione, ci hanno lasciato quale preziosa eredità; un’eredità nata anche dal sangue dei partigiani che oggi qui ricordiamo, e che noi vogliamo a nostra volta lasciare intatta ai nostri figli.

Viva la Costituzione, viva la Resistenza, viva la Repubblica, ora e sempre antifascista.

Roberta Nunin