Orazione di Milena Cossar alla cerimonia del 24 settembre 2023 a Faedis per la commemorazione della Zona libera Friuli orientale


Cittadine, cittadini, rappresentanti delle associazioni partigiane, autorità,

essere oggi qui insieme, con voi tutti, è per me prima di tutto un grande onore.

Essere qui a Faedis, prendere parte a questa commemorazione, significa – per chi come me viene da un comune della Bassa Friulana – ritrovare il filo che lega le nostre comunità.

Nel periodo compreso tra la fine del 1943 e il 1944 in questi luoghi confluirono numerosi giovani partigiani che, partendo dalla bassa pianura, andarono a raggiungere le formazioni che si erano costituite e avevano iniziato a operare nelle zone tra Cividale, Tarcento, così come sul Collio.

Nei racconti dei nostri partigiani erano ben presenti i momenti della liberazione di Nimis, Povoletto, del presidio di Vedronza, gli aspri combattimenti vissuti, il freddo e la fame, il disperato ripiegamento, i paesi diventati un grande falò dopo gli incendi, con il dramma delle popolazioni ingiustamente colpite.

Un legame tra persone e luoghi che ritroviamo successivamente, a partire dall’autunno-inverno del 1945, quando da questi comuni devastati da rappresaglie e incendi partirono bambini e bambine per trovare una casa – un’accoglienza – in molte famiglie di Terzo, Aquileia, Fiumicello, Villa Vicentina, Scodovacca e Ruda, vicenda ripercorsa da Flavio Fabbroni nella sua ricostruzione: “Si sono guardate, si sono date la mano”.

Siamo qui oggi anzitutto a ricordare, a rinnovare la memoria dei fatti drammatici avvenuti in queste terre alla fine del mese di settembre 1944, a compiere una doverosa commemorazione che unisca nel ricordo di una sofferenza comune le morti e la deportazione di tanti civili a quelle dei tanti partigiani caduti durante la Resistenza e nella difesa della Zona Libera del Friuli Orientale.

E, compiendo insieme questo doveroso omaggio, intendiamo anche ricordare come, nell’estate del 1944, in una fase di grande espansione e forza del movimento partigiano, nacquero in diverse aree del territorio italiano le cosiddette Zone Libere, che il partigiano e storico Roberto Battaglia definì il «maggior contributo all’allargamento della lotta e […] prima effettiva conquista e attuazione della democrazia nei tempi più difficili».

Esperienze di coraggio e opposizione rispetto a nemici considerati imbattibili. Momenti di durata relativamente breve ma di estremo significato, in cui si cercò di costruire una democrazia partecipata, con libere elezioni, con primi tentativi di autogoverno, dopo anni di dittatura e violenza fascista e anticipare un’idea di quella che sarebbe stata l’Italia libera, democratica e repubblicana.

Esperienze di avanguardia che furono troncate, qui come nel resto d’Italia, dalle rappresaglie violente, da rastrellamenti, incendi, saccheggi, esecuzioni. Drammi che sono rimasti vivi nel ricordo collettivo delle comunità.

Svariati sono gli studi, le ricerche e le pubblicazioni che, nel corso dei decenni, hanno analizzato il nascere e lo sviluppo delle zone che, nell’estate del 1944, furono liberate – e liberate autonomamente – dall’occupazione nazifascista.

Le esperienze che si realizzarono furono certo tra loro differenti per scelte organizzative e politiche. Alla base di tutte, però, l’aspettativa di una rapida avanzata dell’esercito alleato attraverso la Penisola e il progressivo rafforzamento della Resistenza attraverso l’arrivo in montagna di antifascisti, giovani renitenti alla leva o in fuga dalle formazioni repubblichine.

All’orizzonte la speranza che la fine della guerra e la liberazione dell’Italia fossero ormai prossime.

Anche in Friuli la Resistenza riuscì a dar vita, in quell’estate del ’44, alla Zona libera della Carnia e dell’Alto Friuli e alla Zona libera del Friuli Orientale, che quest’oggi ricordiamo.

E ciò in una regione – va sempre evidenziato – che era stata inglobata militarmente e sottoposta al diretto controllo del Terzo Reich (Zona di operazioni Alto Adriatico OZAK), in cui la repressione antipartigiana verso i partigiani italiani e sloveni fu senza quartiere, divenendo il principale obiettivo dei nazifascisti, che in questo si avvalsero ampiamente del feroce apporto dei collaborazionisti (Difesa Territoriale, Brigate Nere, SS italiane), e cui si aggiunse l’afflusso delle forze cosacche in montagna e nelle aree collinari.

Questa zona risultava strategica operativamente e militarmente sia per i tedeschi che per le formazioni della Resistenza.

Parliamo di territori in cui già a partire dal 1943 si erano formati i primi raggruppamenti partigiani italiani (al marzo di quell’anno risale la costituzione del Distaccamento Garibaldi), mentre nella Benecìa già operavano le formazioni slovene.

Articolate e complesse furono le relazioni tra le diverse componenti della Resistenza italiana – garibaldina e osovana; comunista e socialista, cattolica o ‘giellina’/azionista – e quelle con la Resistenza jugoslava, talora contraddistinte da tensioni e contrasti estremamente acuti e dolorosi, come tutti sappiamo, che derivavano in definitiva dal fatto che la nostra regione rappresentava un peculiare terreno di scontro, oggetto di un’aspra contesa al tempo stesso territoriale, politica, ideologica.  

Ma come ci furono conflitti e divisioni, si ebbero anche fondamentali momenti di intesa (Comando misto paritetico sloveno-italiano di coordinazione – la Divisione unificata Garibaldi-Osoppo, comandante Mario Fantini “Sasso” e vice-comandante Francesco De Gregori “Bolla”).

Una dimostrazione della riconosciuta esigenza – secondo la linea propria del Comitato di Liberazione Nazionale – di liberare l’Italia dal nazifascismo con priorità rispetto ad ogni altra considerazione.

È grazie a questa pur difficile collaborazione che fu possibile, alla fine di agosto, completare la liberazione della Zona denominata ‘del Friuli orientale’.

Sei i comuni interessati: Torreano di Cividale, Faedis, Attimis, Nimis, Lusevera, Taipana e alcune frazioni di Povoletto e Tarcento, abitati complessivamente da quasi 21.000 persone.

Il tempo per attuare forme di rappresentanza democratica fu limitato. I CLN locali ebbero comunque un ruolo centrale nell’organizzazione della vita civile.

Sappiamo che a Nimis furono eletti, con voto diretto e segreto, il sindaco e la giunta comunale; ad Attimis fu convocata un’assemblea di 120 capifamiglia maschi che elessero il sindaco; a Faedis il CLN nominò il sindaco e la giunta comunale sentita l’assemblea dei capifamiglia; nelle altre località il corso degli eventi rese impossibile arrivare a forme di consultazione popolare.

La repressione che dopo poco seguì fu violenta e disumana. Le forze tedesche e collaborazioniste misero in campo uomini e mezzi ingenti per riconquistare e rastrellare il territorio, porre fine alla Zona Libera, colpire duramente la Resistenza e punire la popolazione ritenuta corresponsabile della presenza partigiana.

Il furore che ebbe inizio verso la fine di settembre trova anche origine dalle direttive impartite dal comando tedesco in Italia al suo esercito. Di fatto in esse si autorizzava a rivalersi sulla popolazione civile nelle operazioni attuate per mantenere il controllo di zone strategiche e per reprimere le forze partigiane.

Nel suo studio “Violenza e repressione nazista nel Litorale Adriatico” Giorgio Liuzzi sottolinea la ricorrenza di alcuni termini negli ordini dei comandi tedeschi relativamente alla condotta da adottare nei confronti di chi non si adeguava all’occupazione nazista:

Zerstörung (distruzione) – Vernichtung (annientamento) – Säuberung (pulizia)

Una strategia terroristica, di terrore sistematico, accompagnata da una insistita propaganda antipartigiana.

Ne abbiamo una drammatica riprova in quanto avvenuto durante la rappresaglia che, tra il 26 e il 30 settembre 1944, si abbatté sui Comuni di Nimis, Faedis e Attimis.

Vi furono coinvolti reparti tedeschi, italiani, cosacchi. I partigiani, dopo alcuni giorni di duro combattimento in cui riuscirono a tener testa al nemico nonostante l’evidente sproporzione di forze e a prezzo di gravissime perdite, furono costretti a ripiegare in piccoli gruppi verso le Valli del Natisone.

Seguirono nei paesi razzie, violenze, rastrellamento di persone civili, molte delle quali vennero deportate, fucilazioni, case, stalle e fienili dati al fuoco. La popolazione sfollata si rifugiò terrorizzata nei boschi, nelle campagne, nelle località vicine.

Nella testimonianza recentemente raccolta di Vilma Sturma, bambina di Cergneu oggi ottantasettenne, il racconto di quei giorni:

«Quando abbiamo visto arrivare su le SS dalla curva, mio papà mi ha detto: “Vilma scappiamo. La mamma resta qui con la Silvana”, la mia sorellina piccola. E siamo scappati per i boschi e siamo arrivati a Montemaggiore.

A Montemaggiore, ricordo benissimo, c’era il prete che mio papà conosceva che ci ha detto: “Restate qui, Nimis sta bruciando”. E Nimis era bruciata completamente. Siamo stati su tre giorni senza sapere niente, se era bruciata anche la nostra casa. Poi siamo venuti giù e siamo arrivati a Nongruella, lì avevano portato via tante persone […]. Mio papà allora ha detto: “Andiamo a vedere a casa nostra”. Non sapevamo niente, neanche se la mamma era ancora viva».

Raccontare i fatti accaduti significa far conoscere, aiuta a comprendere, a trovare una spiegazione, e a attribuire precise responsabilità per il male compiuto.

Nessun colpevole, tra i tedeschi e gli italiani che parteciparono al rastrellamento tra il 26 e il 30 settembre 1944, ha mai pagato. Gli unici nominativi noti sono di due italiani accusati di collaborazionismo, di aver compiuto rastrellamenti nei tre comuni principali e di aver partecipato alla strage di Torlano, di cui uno rimase latitante e l’altro, dopo una condanna a 7 anni, fu amnistiato.

 

Cosa ci rimane ancora oggi delle esperienze delle Zone libere, quali valori e idee da ribadire, riprendere, da poter proporre ancora nuovamente?

  • La necessità di una democrazia partecipata in cui ogni cittadino possa esercitare, attraverso leggi adeguate, il diritto di scegliere i propri rappresentanti e si senta soggetto responsabile delle scelte collettive.

Nel nostro paese assistiamo invece a un crescente allontanamento dal voto, all’affermarsi dell’astensionismo, talvolta segnale di indifferenza, ma spesso opzione consapevole. È una democrazia sofferente quella che vede quasi metà dei propri cittadini non recarsi alle urne.

  • La ricerca e il mantenimento della pace, sempre avendo presente che la nostra Costituzione all’art. 11 afferma con forza: «L’Italia ripudia la guerra».

Pace: in questi nostri tempi condizione lontana in Europa e in molti luoghi del mondo devastati dalle troppe guerre.

Assistiamo a una recrudescenza dei conflitti, al riarmo continuo, all’aumento delle spese militari, quasi non ci fosse possibilità e volontà, per gli stati e gli organismi internazionali, di prevenire i conflitti, stabilire dialoghi e negoziazioni là dove essi infuriano, intervenire sulle loro cause.

Mentre intanto continuano a morire o fuggire dai propri paesi centinaia di migliaia di persone.

Pace: una parola quasi scomparsa dai discorsi politici o che, quando appare, sembra espressione di ben scarso convincimento.

  • Il valore della Libertà: per tutti e in tutte le sue declinazioni.

Libertà da una dittatura, dall’oppressione, e libertà attiva per potersi esprimere, riunire, organizzarsi in partiti, sindacati, associazioni, ricostituire un tessuto civile, vivere finalmente una vera vita collettiva.

E ciò riconoscendo, al tempo stesso, pienamente ad ognuno la propria peculiarità, originalità, diversità.

Valori dei più rappresentativi tra quelli hanno ispirato e animato la Resistenza e hanno avuto recepimento nella nostra Costituzione.

In un documento dell’Istituto Pedagogico della Resistenza di Milano, curato alcuni anni fa dal partigiano e scrittore Guido Petter, venivano tracciati alcuni comportamenti civili lasciati come testamento morale e educativo dalla lotta di liberazione.

Comportamenti da acquisire per i più giovani ma – credo – da riproporre ora a tutti noi cittadini, qualsiasi sia la nostra età, a noi che viviamo in questa società sempre più egoista, fredda, indifferente, attraversata da ingiustizie, discriminazioni e disumanità.

Si riassumono in tre ‘atteggiamenti di base’:

  • Una «costante attenzione a ciò che accade sia nell’ambiente vicino che nel vasto mondo, accompagnat[a] dalla capacità di indignarsi ogni volta che dei valori vengono violati, negati, calpestati, ogni volta che viene compiuta un’ingiustizia o una sopraffazione, anche quando tali violazioni o ingiustizie non colpiscono noi o le persone che ci sono vicine»;
  • Una «iniziativa consistente nell’individuare e nel mettere in atto azioni volte a eliminare le situazioni ingiuste e violente che hanno suscitato l’indignazione»;
  • Infine, «non cedere mai di fronte agli eventuali insuccessi […], e […] continuare invece a operare con costanza […] anche quando tutto sembra andare per il verso sbagliato, per modificare la situazione […] ponendo così le basi per la successiva rinascita» (non per nulla i fratelli Rosselli, con Salvemini e Ernesto Rossi, in periodo di fascismo trionfante, avevano dato al loro giornale clandestino il titolo emblematico di “Non mollare”).

Loro – gli antifascisti, i partigiani, gli autentici patrioti – non rimasero alla finestra, scelsero da che parte stare e agirono superando differenze di visioni e concezioni. Cercarono unità per sconfiggere il nemico e liberare l’Italia e l’Europa dai regimi totalitari e criminali nazifascisti che ci avevano portato alla guerra, alla devastazione, allo sterminio.

Opponiamo alle parole e alle azioni di: guerra, violenza, discriminazione, paura e morte, parole e azioni positive di: democrazia, pace, libertà, coraggio, diritti individuali e collettivi per tutti, accoglienza, solidarietà, giustizia e rispetto della vita di ognuno.

Lo fecero le donne dell’UDI della Bassa Friulana che, appena finita la guerra, accolsero assieme alle loro famiglie i bambini di questi comuni distrutti dagli incendi.

«Ricordo – afferma Ledi Cossar, una delle organizzatrici dell’iniziativa – l’ansia che avevamo quando siamo partite con il camion, perché non sapevamo quante mamme ci avrebbero affidato i loro figli. Noi di Terzo e di Aquileia siamo andate a Nimis e grande fu la nostra angoscia quando siamo arrivate in un paese tutto bruciato.

Poi in una piccola piazza abbiamo trovato ad aspettarci tante mamme con tanti tanti bambini, molti di loro piangevano. Le mamme volevano essere rassicurate che i loro figli fossero trattati bene e che sarebbero stati riportati dopo l’inverno a casa. Ricordo, non l’ho mai dimenticato, l’arrivo a Terzo con questi bambini spaventati, trovare quasi tutto il paese ad aspettarci, con il parroco che fece suonare perfino le campane. È stata una cosa molto commovente».

Quell’ulteriore esperienza ci dimostra che è possibile provare empatia, affetto, dispiegare la nostra cura nei confronti delle persone che hanno – adesso – bisogno di noi.

Pensiamo a bambini, ragazzi e adulti che arrivano nei nostri paesi ricchi, scappando da guerre e miserie in cerca di una possibilità per un futuro migliore, e invece trasformate in un mero problema di ordine pubblico, anzi di rimozione e sgombero.

Pensiamo alle tante persone esposte alle difficoltà della vita e lasciate sole, perché indigenti, perché discriminate e confinate ai margini della società, perché indifese, abbandonate a sé stesse.

Oggi come allora dobbiamo trovare tra noi – tra forze democratiche e antifasciste – una nuova unità per promuovere valori, combattere i nuovi e vecchi fascismi, difendere la nostra Costituzione dagli attacchi che la vogliono stravolgere, scardinando gli equilibri tra i distinti poteri dello Stato, continuando a chiedere con forza la sua completa attuazione.

Davanti a noi il compito di promuovere conoscenza e memoria storica, due aspetti che devono necessariamente rimanere uniti. Un compito enorme guardando ai tempi in cui viviamo.

La Resistenza da anni è sotto attacco, si cerca di dividerla e di discriminare tra le sue componenti, quasi ci fosse una ‘resistenza buona’ e una ‘cattiva’, una degna di riconoscimenti, l’altra solo di essere denigrata e insultata.

Assistiamo da tempo a una riscrittura di fatti e avvenimenti accaduti nei nostri territori a uso di forze politiche più interessate a sollecitare divisioni e far temere nemici inesistenti, a utilizzare la storia strumentalizzandola per puri scopi elettoralistici, che non disposte a fare realmente i conti con il passato.

Si è arrivati a giustificare, persino difendere il fascismo e minimizzare o nascondere i fatti, le vergogne compiute.

Cinico ‘sdoganamento’, indifferentismo – all’insegna della parificazione delle parti – che hanno portato, nel corso del tempo, a una ormai sostanziale legittimazione del discorso pubblico fascista, fino a far considerare coloro che ad esso si richiamano come perfettamente idonei a svolgere rilevanti funzioni pubbliche in una repubblica democratica.

Una mistificazione che è stata accolta nel linguaggio e nella mentalità diffusa e che è via via divenuta ‘vulgata’, ‘senso comune’.

Poco conosciute le ricerche degli storici, mentre aumenta tra la gente il disinteresse, l’ignoranza storica, che rende più fragile la memoria e la coscienza antifascista, vera base della nostra democrazia come l’abbiamo conosciuta dalla Liberazione in avanti.

Scandalosa, ma sempre più frequente, l’invocazione della libertà di espressione (art. 21 della nostra Costituzione) per esprimere concetti razzisti, di discriminazione, di incitamento all’odio in discorsi pubblici, nelle reti televisive, su quotidiani o in pubblicazioni.

Nel primo articolo del progetto di costituzione della Repubblica di Salò si afferma che: «La Nazione Italiana è un organismo […] nel quale compiutamente si realizza la stirpe […]».

Come sono belle, aperte, umane, invece le parole contenute nella nostra Costituzione: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali».

Oggi tocca a noi agire, continuare l’impegno verso la cittadinanza, nelle scuole, per far conoscere la memoria e la storia della Resistenza, dei suoi protagonisti, affinché possa diventare patrimonio di tutti, una pagina di storia che sia motivo di orgoglio per tutti gli italiani.

E continuare così anche a impegnarci per quelli che sono i nostri punti cardinali: la Costituzione, l’Antifascismo, la Democrazia, la Pace, la Libertà, con la volontà di costruire un mondo più giusto, solidale nei confronti di tutti i popoli, e difendere il nostro minacciato Pianeta.

I partigiani sognavano e hanno lottato per un mondo nuovo, un mondo diverso, per un’altra società.

Continuiamo il loro cammino —– Viva la Resistenza