Orazione di Alice Buosi per la cerimonia di Borgo Villalta del 24 aprile 2025


Orazione di Alice Buosi di Spazio Udine alla cerimonia di Borgo Villalta del 24 aprile 2025.

Ringrazio l’ANPI per l’invito alla commemorazione in ricordo dei 22 caduti di Borgo Villalta e della partigiana Gianna. Tra tutte le cerimonie legate alla Giornata della Liberazione, questa è forse quella che ogni anno mi emoziona di più e per me è un grande onore essere qui oggi. Saluto le rappresentanti e i rappresentanti delle istituzioni, tutte e tutti voi, cittadine e cittadini, antifasciste e antifascisti.

Avevo mille idee in testa ma mi era difficile riordinarle per strutturare questo discorso. E quindi ho pensato: “Vado all’ANPI, spulcio il loro archivio e lascio liberi i pensieri in quello che posso trovare lì.” Ho potuto leggere e scorrere le dichiarazioni di riconoscimento dei partigiani combattenti per i caduti di questo Borgo, alcune loro foto dell’epoca, le autorizzazioni per le traslazioni delle salme da altri Paesi e, persino, la lettera negativa in risposta alla richiesta di identificazione del luogo di sepoltura di uno di loro. E poi mi sono concentrata sulle pietre d’inciampo, le Stolpersteine, sparse nella nostra città e nelle strade di tutta Europa, quasi a costruire una mappa della deportazione. Quest’anno, 80 anni dopo la fine della guerra, a Udine ne sono state deposte altre dieci.

Ed è così che ho incontrato la storia di Edgardo Pasinato, nato a Pozzuolo del Friuli nel 1903 e poi trasferitosi qui in Via Villata, 46 con la moglie Jolanda Cozzi e i loro 4 figli. Faceva parte dei GAP della Divisione Garibaldi Friuli, Brigata Udine. Dopo l’arresto a Udine, sorte toccata ad altri giovani di questo quartiere, viene deportato a Dachau l’8 settembre del ’44. Nei mesi successivi viene trasferito a Bergen Belsen dove muore il 5 marzo del ’45. Continuo a leggere, e scopro che, a seguito di una richiesta di informazioni posta dalla famiglia alle autorità, emerge che Edgardo Pasinato è deceduto nel Distretto di Celle a pochi chilometri dal campo e pare sia sepolto lì in una fossa comune. Tuffo al cuore… Celle, una piccola cittadina delle dimensioni di Udine, si trova in Germania nella campagna profonda della Bassa Sassonia, ad una settantina di chilometri da Hannover. A tutti voi non dirà nulla il nome di questa città, Celle. Per me rappresenta tutto ciò che sono. Avevo 16 anni e in quella piccola cittadina, ospite di una famiglia tedesca, ho frequentato il terzo anno di liceo, aderendo al progetto di un’associazione internazionale che promuove programmi per giovani liceali di tutto il mondo, con l’obiettivo di costruire ponti tra culture diverse e contribuire al diffondersi di una cultura di pace.

E fin qui… una semplice associazione di idee. Decido però di continuare a cercare perché ricordavo che quell’associazione aveva una storia curiosa. AFS, American Field Service (Servizio di Campo Americano), così si chiama l’associazione, Intercultura il nome in Italia. E qui, di nuovo, si intreccia la mia storia e quella di migliaia di giovani di tutto il mondo con la storia di Edgardo Pasinato. Nel 1915 AFS nasce in Francia per prestare soccorso nei campi di battaglia della I Guerra Mondiale. Continuano il servizio di ambulanzieri anche durante la II Guerra Mondiale. Nell’aprile del ’45, 2 mesi dopo la morte di Edgardo, i volontari di AFS sono tra coloro che, inorriditi, varcano i cancelli di Bergen Belsen. Dopo la guerra quest’organizzazione si evolve e nel ’47 avviano i primi programmi di scambio promuovendo un’educazione interculturale, intesa come valore in sé e strumento attivo per costruire la pace tra i popoli. Vedete: si nasce in epoche diverse e, a seconda di quando hai la fortuna o la sfortuna di nascere, o sei figlio della guerra e vai in una città a morire, nel peggiore dei modi, oppure sei figlia dell’Europa Unita e in quella stessa città vai a fare l’esperienza più bella e formativa della tua vita.

Sono passati 80 anni: chi di noi ha idea di cosa sia la guerra davvero? In realtà una moltitudine di persone intorno a noi, coloro che nel corso dei decenni si sono dovute spostare proprio per sfuggire agli innumerevoli conflitti che sono avvenuti e continuano ad avvenire. Pensiamo alla guerra nei Balcani o a guerre in Paesi molto lontani come il Burundi degli anni ’90 e la Palestina di sempre o in Paesi più vicini come l’Ucraina di oggi. Per tutti gli altri, per coloro che sono nati qui e in tempo di pace, fondamentale è la memoria collettiva e la capacità di mettersi in ascolto di chi ha purtroppo conosciuto questa condizione umana devastante e ha la forza di portare la sua testimonianza. Sono felice di non aver dovuto vivere personalmente l’orrore della guerra ma non penso che ci si possa rilassare e adagiare sul pensiero che “a noi non accadrà mai”, soprattutto oggi. Bisogna piuttosto adoperarsi per convincere tutte e tutti che non è necessario tornare a quei periodi bui per recuperare le nostre comunità e risolvere le problematiche che emergono oggi in Europa.

Sono sicura che, come me, tante e tanti di voi in questo momento storico non si sentano poi così fieri di essere europei perché, diciamocelo, quello che l’Europa è diventata può solo provocare in noi un forte senso di vergogna e di impotenza. Di fronte ad un panorama internazionale folle e al proliferare di personaggi politici che non hanno nulla da invidiare ai peggiori dittatori della storia, l’Europa è immobile, paralizzata e totalmente incapace di reagire attraverso la diplomazia e la capacità di mediazione. Preferisce lasciarsi travolgere dagli eventi senza mettere alcun tipo di paletto, se non quelli che servono a trincerarsi all’interno dei propri confini. I valori fondanti dell’Unione Europea sono il rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, delloStato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori, oggi, sono sotto attacco continuamente. E quel che è peggio è che non c’è un nemico esterno, la crisi dei valori è proprio tutta nostra, interna alla stessa popolazione europea. Guardiamo alle grandi crisi internazionali, aspettandoci una presa di posizione forte e risolutiva ma la verità è che non siamo in grado di capire noi stessi, dove siamo arrivati o dove stiamo andando.

Non dobbiamo e non possiamo permetterci di gettare nel fango lo sforzo che hanno fatto i nostri padri fondatori e le nostre madri fondatrici, nel tentativo di costruire per le generazioni future un mondo migliore. Negli anni della ricostruzione non sono state ricostruite solo le città, i Paesi e in generale i territori, ma sono state ricostruite soprattutto le comunità. Parliamo di comunità che sono uscite devastate dalle guerre della prima metà del ’900, comunità che hanno dovuto ridefinire, pur con tutto il dolore che si portavano dietro, un nuovo modo di vivere insieme, una collettività con le sue regole e con i suoi principi come guida verso quel“MAI PIÙ!” che purtroppo si sente pronunciare sempre di meno, oggi.

Noi tutti qui abbiamo beneficiato della forza d’animo e della capacità politica di tutte e tutti coloro che negli anni della guerra e in quelli successivi hanno creduto davvero nella costruzione di un mondo più giusto e più libero. E oggi dobbiamo avere noi quella forza per continuare in quella direzione, per leggere il nostro tempo e capire come possiamo risollevare la nostra società con le peculiarità e le complessità della nostra epoca. Ognuno nel suo quotidiano, sia nella sua vita privata ma anche nella vita pubblica come cittadine e cittadini, come appartenenti alle associazioni e a gruppi collettivi che lavorano e fanno volontariato, come appartenenti ai gruppi politici e alle istituzioni, (ognuno) deve fare la propria parte, cercando di coordinarsi tra tutte le persone che hanno ruoli diversi nella società, dagli attivisti ai politici, dagli intellettuali agli operatori, ma che hanno allo stesso tempo un obiettivo comune: promuovere una cultura della convivenza tra esseri umani.

Questa è la chiave di tutto: la convivenza. E non parlo solo ed esclusivamente di convivenza tra i popoli che vivono la nostra Europa, non parlo solo di convivenza interetnica, ma proprio della più banale convivenza con i nostri vicini di casa, i nostri colleghi a lavoro, i nostri famigliari, gli amici e anche con chi non sopportiamo proprio. Se non siamo in grado di costruire comunità coese nelle nostre quotidianità e nei nostri piccoli mondi, come possiamo costruirle a livelli più alti e generali?

Pensate che c’è un personaggio storico dei giorni nostri (che non credo sia assolutamente degno di nomina) che ha dichiarato che la più grande debolezza della civiltà occidentale è l’empatia. Non c’è nulla di più sbagliato nel pensare che sia un problema essere in grado di comprendere il vissuto di un’altra persona, mettendosi nei suoi panni, senza esprimere giudizi. Non sono così ingenua o arrogante da pensare che questa sia la soluzione all’impoverimento culturale e sociale delle nostre società. Penso solo che, se è vero che per i grandi problemi che stiamo vivendo non possiamo pensare di trovare delle soluzioni semplici, possiamo però imparare ad usare strumenti semplici ma mai banali, proprio come l’empatia, appunto.

Educhiamo e educhiamoci per tornare a riconoscere e a far riconoscere le idee e i valori che hanno portato al sogno dell’Europa descritta nel Manifesto di Ventotene e la cui dimenticanza, purtroppo, sta rischiando di portarci nuovamente nel baratro della guerra.

Prima di leggere i nomi dei 22 partigiani caduti in questo Borgo, vorrei salutarvi ricordando le parole di Gianni Rodari: un partigiano lombardo, scrittore, giornalista, un grande uomo che ha fatto la storia della pedagogia del nostro Paese. È una frase rivolta ai bambini ma credo possa essere di insegnamento anche per tutte e tutti noi:

“È difficile fare le cose difficili: parlare al sordo, mostrare la rosa al cieco. Bambini, imparate a fare le cose difficili: dare la mano al cieco, cantare per il sordo, liberare gli schiavi che si credono liberi.”

Ricordiamo ora i nomi dei 22 caduti di Borgo Villalta:

1. Bigotti Nello n. di b. “Grivò”

2. Bortolotti Italo n. di b. “Ivo”

3. Castiglione Silvano

4. Cesca Mario n. di b. “Nape”

5. Coss Vittorio

6. Fabbro Ferdinando

7. Ferreri Bertillo

8. Ferreri Giuseppe

9. Gobitta Luciano n. di b. “Oscar”

10. Lodolo Giovanni n. di b. “Pino”

11. Mega Rinaldo n. di b. “Marco”

12. Mitri Pietro

13. Pasinato Edgardo n. di b. “Udine”

14. Periz Giobatta n. di b. “Orio”

15. Quoco Alessandro

16. Tomada Galliano

17. Tonizzo Giuseppe n. di b. “Leone”

18. Torossi Tiziano n. di b. “Scure”

19. Vida Galliano n. di b. “Valerio”

20. Zamparo Aldo n. di b. “Pino”

21. Zanuttini Mario

22. Zilli Angelo n. di b. “Ledra”

E voglio ricordare anche Fidalma Garosi Lizzero, nome di battaglia “Gianna”, infermiera dell’ospedale di Udine, staffetta dei Gruppi di Azione Patriottica sulle alpi Carniche e anima di questa celebrazione per decenni.

Permettetemi ora di salutarci con sobrietà

Viva la Resistenza!
Viva l’Italia Antifascista! Viva l’Europa dei Popoli!