Orazione di Alessio Christian Pradolin per la commemorazione al cimitero San Vito di Udine il 9 febbraio 2025


Nel 1933 Karl Barth, il teologo protestante più importante del XX secolo, iniziò a tenere una serie di conferenze ed a scrivere nella rivista “L’oggi della teologia” articoli di denuncia contro il regime nazista. È un vero e proprio attacco al Nazional Socialismo e alla Chiesa Evangelica tedesca. La responsabilità delle chiese cristiane durante l’ascesa di Hitler furono evidenti ed ebbero un’importanza determinante per il regime. I cattolici infatti firmarono nel 1934 un concordato tra Von Papen  ed il cardinale Pacelli che prevedeva il giuramento di fedeltà dei vescovi al regime ed il divieto dei preti di partecipare ad ogni attività politica, mentre la chiesa Evangelica ufficiale animata dalla tradizione luterana di sottomissione all’autorità stabilita, ben presto indossò la camicia bruna e addirittura al suo interno si formò il  movimento dei così detti “Cristiani Tedeschi” la cui dottrina si fondava sulle parole-chiave del Nazismo: Nazione, Razza, Fuhrer.  

 K.B. comprende il pericolo che sta calando sulla Germania, sull’Europa e sul mondo intero e si schiera sferrando un attacco anche dai toni violenti contro i “Deutsche Christen” e la chiesa ufficiale, dando così vita a quella che successivamente a Barmen nel 1934 prenderà il nome di “Chiesa confessante” di cui farà parte anche l’altro teologo protestante Dietrich Bonhoeffer. K.B. è convinto che, in attesa del Regno di Dio, la chiesa ed il singolo credente debbano svolgere un ruolo anche nella società civile e quindi ritiene che non si possa tacere di fronte alle mostruosità del razzismo e sottostare alle invocazioni ad un Fuhrer, perché l’unica e vera guida è solamente Gesù Cristo. La chiesa ed il singolo credente sono comunque chiamati a partecipare agli avvenimenti umani, non si può stare alla finestra a guardare ed assistere indifferenti a ciò che accade nel mondo. Occorre agire perché l’umano fa parte dell’umanità di Dio. 

Anche Luciano Pradolin, era un credente ed apparteneva alla Chiesa Evangelica Valdese di Tramonti. Era un ragazzo colto ed istruito e da tempo si interrogava sul senso della guerra e della vita. Nutriva sentimenti di libertà e di giustizia coltivati anche in seno alla famiglia il cui nonno era un socialista della prima ora. Già da studente aveva manifestato la sua contrarietà al regime fascista alzandosi dal banco durante la lezione, quando il suo professore di matematica era stato espulso dalla scuola perché ebreo. Poi aveva abbracciato sempre più le idee antifasciste, anche lui convinto che il credente è chiamato da Dio anche ad un impegno civile nella società. L’otto settembre del 1943 si trova a prestare servizio militare come tenente nel sud della Francia, riesce a fuggire e a rientrare a Tramonti. La sua coscienza cristiana continuava ad interrogarlo e così responsabilmente scelse di diventare un partigiano, sognando la libertà e sperando in un mondo di pace. Assieme al fratello Guglielmo, a Bepi e Armando caduti combattendo sulla Forcella del Monte Rest ed agli amici di Cavasso, molti dei quali vennero fucilati su queste mura assieme a lui, costituì il Batt. Val Meduna dell’Osoppo diventandone il Comandante. Aveva visto i fascisti ed i tedeschi deportare e trucidare partigiani e civili ed aveva perso gli amici in battaglia, quando nel gennaio del 1945 fu arrestato a Maniago e l’11 febbraio di ottant’anni fa venne condannato a morte e fucilato per rappresaglia in questo luogo.  

Ricordare oggi dopo ottant’anni come i partigiani, credenti e non credenti, ebbero il coraggio di schierarsi contro il male è fondamentale. Essere qui oggi non deve essere una semplice commemorazione di routine, ma questo momento deve assumere un impegno, anche personale, a saper distinguere il bene dal male. Ricordare significa rinnovare la conoscenza di ciò che è successo e di ciò che può riaccadere, proprio perché l’uomo dimentica facilmente, come possiamo vedere anche in questo periodo, dove fra saluti fascisti, le ideologie naziste e razziste si stanno riaffermando nel mondo, per non parlare poi, delle disumane e atroci guerre a cui assistiamo. È necessario sviluppare una cultura della pace e della fratellanza, una cultura dell’accoglienza e della convivenza, una cultura del rispetto e della condivisione. Superare le paure del diverso che generano solamente violenza. Rimettere Cristo al centro della nostra vita e riscoprirlo nel nostro prossimo. 

I partigiani che qui furono fucilati scelsero di combattere il male del nazi-fascismo, che per dirlo con Karl Barth non fu solo responsabile di atti inumani ma fu la personificazione dell’inumanità, e ci lasciano la grande eredità della libertà, un bene preziosissimo che tutti noi dobbiamo saper custodire e trasmetterlo alle future generazioni. 

Luciano Pradolin nella lettera alla sorella Rina scrive: “…unica cosa che mi sostiene è la fede in Dio e la sicurezza che la mia coscienza è pura e il mio ideale è sacro”. Ed alla mamma scrive. “…in realtà mi dispiace lasciare la vita, particolarmente ora che avevo capito il grande significato”. Già, perdere, sacrificare la vita, la cosa più cara che abbiamo, per il proprio ideale e la propria fede. Luciano Pradolin fu un esempio di abnegazione cristiana e fu fedele discepolo di quel Gesù che disse: “Se uno vuole venire dietro a me, rinunzi a se stesso e prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la sua vita, la perderà, ma chi avrà perduto la sua vita per amor mio, la troverà”.