Orazione di Alessandra Missana alla cerimonia per l’80esimo della Liberazione a Reana del Rojale del 24 aprile 2025


Sono molto onorata che per celebrare questa importantissima data, gli Ottanta anni della liberazione dal nazifascismo, sia stata chiamata la vicepresidente dell’ANPI di Udine qui a Reana del Rojale, dove la Resistenza fu perlopiù vissuta dai partigiani della Osoppo sotto il comando del partigiano Marino Silvestri (nome di battaglia Alfredo) a cui si deve l’adesione di oltre 200 giovani al Battaglione Julio.

Questo invito sta a significare unitarietà, forza, condivisione. L’ANPI rappresenta sempre tutti i partigiani, nessuno escluso, perché siamo e vogliamo rimanere unitari.

Il saluto quindi dell’ANPI di Udine, che oggi qui mi onoro di rappresentare, alla Signora Sindaco, al Presidente della sezione dell’ANPI di Reana Paolo Bassi, alle Autorità civili tutte, militari e religiose, ai rappresentanti delle associazioni combattentistiche e d’arma, alle cittadine e ai cittadini che oggi hanno voluto essere presenti a questa commemorazione, a questa che è e deve essere la festa di tutti gli antifascisti e le antifasciste italiane.

Il 25 Aprile 1945, dopo vent’anni di dittatura fascista, di privazione delle libertà fondamentali, di oppressione e di persecuzioni, dopo una guerra ingiusta combattuta dall’Italia di Mussolini alleata di Hitler, il nostro Paese trovava la libertà e la democrazia. Due parole di cui forse abbiamo perso il senso. Il contenuto. Il valore.  Le abbiamo date per scontate o le sottovalutiamo.

Il 25 aprile è la festa più cara, più gloriosa, più coinvolgente, più condivisa, più commovente e più gioiosa. Una festa unitaria.

Dopo oltre 80 anni ancora in Italia si alimentano polemiche sul 25 Aprile, polemiche che non fanno altro che nutrire chi di questa festa si prende gioco, la spaccia per una festa di parte, chi questa festa vuole ridurla a una giornata come tante o peggio divisiva.

Migliaia di uomini e donne si sono ribellati alla volontà di dominio, alle leggi razziali, alla crudeltà, alla privazione di ogni diritto per regalarci diritti, libertà e democrazia.

Non era facile combattere dopo vent’anni di “Credere, obbedire, combattere”. Dopo vent’anni di bieca propaganda, di ordini insensati che portavano all’odio verso ebrei, dissidenti, zingari, omosessuali, stranieri. Di ordini di combattere non per difesa ma per aggressione e sete di conquista. Anni di utilizzo dei soldati come utensili per placare la sete di dominio. Anni in cui si è seminato il terrore fra la popolazione civile.

È un dovere morale e civile coltivare la memoria guidati dalla conoscenza della storia. Storia studiata con rigore utilizzando fonti certe per conoscere i fatti; Memoria utile e necessaria per celebrare quei fatti e sentirli nostri, come stiamo facendo ora, per fare in modo che quei fatti ci consentano di stringerci l’uno accanto all’altro per rafforzare la nostra capacità di riconoscerci rispettando le tante nostre diversità. Quella memoria però non deve essere fine a se stessa: deve costituire uno strumento di analisi del presente.  

La storia ci mostra che qui in Friuli i fazzoletti rossi della Garibaldi si sono mescolati coi fazzoletti verdi della Osoppo.

E ancora la Storia ci fotografa l’8 settembre ’43: il governo italiano firma l’armistizio ed emana ordini contraddittori: “non deve essere presa nessuna iniziativa di atti ostili contro i germanici”. E a distanza di due giorni, viene precisato che “i tedeschi devono essere considerati nemici”. In pochi giorni tutto cambia per la popolazione e anche per i soldati.

Ed è in quel contesto, con i bombardamenti sempre più frequenti e feroci, che prende forma e si organizza la Resistenza costituita da tutte le forze di opposizione al fascismo: comunisti, azionisti, socialisti, cattolici, liberali, monarchici, anarchici.

Non si trattava di avanguardie separate: un legame di solidarietà unisce donne, uomini, giovani, anziani, militari, studenti, medici, preti.

I militari italiani che dopo l’8 settembre si rifiutano di aver salva la vita servendo sotto la bandiera di Salò e dell’esercito tedesco, preferiscono l’internamento nei campi di prigionia nazisti. Furono i NO di 600.000 Internati Militari Italiani, gli IMI.

Fra gli Internati Militari Italiani – gli IMI – ricordo il sottotenente dell’8° reggimento, Giovanni Malisani che, catturato scrive nel suo diario nel settembre 1943 “Piango nel vedere i miei Alpini partire oltre il Brennero per andare nei campi di concentramento e senza armi».

Rinchiusi nei vagoni blindati dei carri bestiame gli IMI vengono condotti ai campi di lavoro in Germania o in Polonia. Molti di quei treni stracolmi di umanità sofferente e impaurita, senza cibo né acqua, senza la possibilità di soddisfare le più strette necessità, passavano per Udine, Artegna, Moggio Udinese, e su verso Tarvisio e poi Austria, Germania e via… I treni, grazie al coraggioso sostegno dei nostri ferrovieri, subivano dei “calcolati ritardi” come ricorda nel suo volume sulla Resistenza nel Rojale Tarcisio Venuti. I ritardi e i rallentamenti, soprattutto qui nei pressi di San Pelagio, servivano per tentare la fuga.

Dall’interno dei vagoni stracolmi di esseri umani, lì costretti da chi l’umanità l’aveva seppellita, si udivano lamenti, urla, richieste di aiuto.

Accadde qualcosa che sa di miracoloso e che invece è proprio umanissima: dai nostri paesetti, dalle fabbriche, dalle famiglie poverissime che avevano si e no da mangiare, accorsero soprattutto donne che, sfidando i tedeschi nelle stazioni, trovavano mille espedienti per portare pezzi di pane, chicchi di uva, qualsiasi cosa potessero consegnare a quelle mani che si allungavano fuori dalle grate dei vagoni. E da quelle grate i prigionieri lasciavano cadere dei foglietti arrotolati per farli passare dalle feritoie con la preghiera di far arrivare i messaggi a casa.

Le donne raccoglievano i bigliettini e li spedivano alle famiglie. Anche questa è stata la Resistenza!

Si mise insomma in moto una straordinaria catena di solidarietà coraggiosa, nella popolazione, fra i ferrovieri. C’è un racconto molto commovente di un prigioniero che vede, prima che il vagone fosse chiuso, una ferroviera che aveva il compito di chiudere con la spranga il portellone. Si accorge che quello schlack della spranga è più lieve di quel che avrebbe dovuto essere, e capisce. Al primo rallentamento prova, con tenue speranza, a forzare la porta. Ci riesce. Si lancia. Si salva. Chissà chi era quella ferroviera, chissà se si è salvata.

Come lei migliaia di donne le cui storie sono state per lungo tempo dimenticate e taciute. Le donne scelgono di rompere con le gerarchie consolidate e con un pezzo di mondo che le aveva condannate alla subalternità dentro e fuori le mura domestiche. Ebbene, queste donne, queste donne già eroiche perché costrette a gestire famiglie numerose, povertà e terrore non riescono a non agire. Scelgono la solidarietà, l’impegno, la libertà.

Sembra quasi impossibile da comprendere: una minoranza stremata e povera decide di combattere quel tremendo esercito che aveva conquistato e oppresso quasi tutta l’Europa e pone le basi della nostra Repubblica.

Fa’, come dice Rosina Cantoni in un’intervista, chel che leve fat.

L’intensificazione dei sabotaggi e la costituzione delle zone libere in Carnia e nell’Alto Friuli porta a crudeli rastrellamenti: a Reana il 15 agosto 44 un centinaio di soldati tedeschi rastrella oltre 200 persone che con camion e corriere vengono portate in una caserma a Udine. Pochi riescono a scappare e a nascondersi fra i boschi o in mezzo ai fienili.

E fecero “chel che leve fat” anche Giancarlo Marzona “Piero”, di Treppo Grande di 22 anni, dell’Intendenza delle Brigate Osoppo Friuli, e Fortunato Delicato “Bologna”, di Tolmezzo di 25 anni, della Div. Osoppo Friuli. I due partigiani stavano trasportando munizioni e armi a Treppo Grande. All’altezza del Morena vengono fermati per un controllo e immediatamente fucilati.

Storie di uomini e donne della Resistenza. Storie di partigiani anche giovanissimi, storie di lotta, di grande solidarietà. Grazie all’unità antifascista non solo è stata vinta una feroce dittatura, non solo l’Italia è uscita dalla guerra: ha varcato i confini nazionali ed ha saputo proiettarsi in una dimensione europea.

Il 25 aprile è la Festa dei diritti sanciti dalla nostra Costituzione partorita da tutte le forze antifasciste: queste seppero mettere in atto un sublime lavoro di alta mediazione per redigere un testo che contenesse dei principi fondamentali e delle norme che garantissero un perfetto equilibrio fra i poteri dello Stato. Ed è proprio questo perfetto equilibrio che dobbiamo preservare.

Dobbiamo rileggerla la nostra Costituzione per ridare dignità all’uomo, al lavoro, per fronteggiare questi tempi bui; ridare dignità alla sanità pubblica oggi costantemente erosa a favore di una sanità garantita a chi se la può pagare.

Rileggerla per essere consapevoli che (art 11) l’Italia rifiuta la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo per risolvere controversie internazionali.

Per ricordarci che la scuola è aperta a tutti (art 34). E che i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, oggi sempre meno numerose e difficili da ottenere.

E rileggerla per ricordarci che l’articolo 33 della Costituzione italiana afferma che “l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”. Questo principio garantisce la libertà di ricerca, di creazione artistica e di insegnamento in Italia.  Sentir parlare oggi, negli Stati Uniti, paese amico, di messa al bando di libri, di blocco di finanziamenti alla prestigiosa Università di Harvard perché non accetta le richieste dell’amministrazione americana su assunzioni e programmi di ricerca, spaventa.

Stiamo vivendo un ritorno a un oscurantismo medievale: oscurantismo è mettere in discussione le teorie e le idee innovative; è limitare la diffusione della conoscenza.  E’ mettersi contro la visione dinamica della cultura, contro la sua diffusione e contro la ricerca scientifica e intellettuale senza le quali gli esseri umani regrediscono e rischiano.

Atteggiamento contagioso perché condiviso da tutte le forze di destra del mondo.

Il mondo pare si stia rovesciando. O, come aveva dolorosamente affermato Papa Francesco, il mondo è a pezzi. Papa che ricordò anche che “Non c’è tragedia peggiore che sprecare una tragedia”.

Nel mondo ci sono oltre 60 guerre, una delle quali nel cuore dell’Europa che ha visto la Russia aggredire l’Ucraina.

Una guerra senza fine.

Accanto a queste guerre, la guerra finanziaria e muscolare lanciata dal Presidente degli Stati Uniti, lo stesso che ha sbeffeggiato in mondovisione il Presidente dell’Ucraina. Salvo smentirsi nei giorni successivi.

Parlare di Resistenza, del 1945, può sembrare quasi fuori tempo in questo tempo in cui il presidente più potente del mondo agisce come in preda di un accecante delirio di onnipotenza. Utilizza la sua forza e la sua brama di potere per distorcere, se gli è utile, qualsiasi verità. E’ stata minata profondamente la libertà di stampa: persino il Washington Post si è piegato ai suoi voleri e non comunicherà più notizie in dissonanza con le politiche governative. In men che non si dica un criminale di guerra è stato assolto con atti plateali senza passare da nessun tribunale. In men che non si dica si auspica la pace in Ucraina a patto però che gli Stati Uniti raccolgano il ricco bottino costituito dalle terre rare. E intanto i bombardamenti vanno avanti.

Si parla di pace in Medio Oriente: dopo l’orrendo massacro di Hamas a Israele del 7 ottobre 2023 Netanyahu  ha  adottato politiche che provocano danni irreparabili alla popolazione palestinese. Distruzioni senza precedenti, sfollamento forzato del 90 per cento della popolazione, divieto di fornire servizi essenziali e di offrire assistenza umanitaria. Bombardamenti che causano morti di civili e di migliaia di bambini. Straziante.

Netanyahu ha commesso atti criminali, condannati dagli stessi israeliani, con lo scopo specifico di distruggere la popolazione palestinese di Gaza. Il premier israeliano è stato da poco ricevuto dal Presidente Trump in un incontro bilaterale.

L’Italia soffre certamente questo nuovo stato delle cose e si gioca la carta dell’amicizia, della condivisione delle politiche contro l’immigrazione, contro le questioni gender, contro la libertà di stampa, di insegnamento, contro la solidarietà.

Abbiamo una grande carta da giocare: l’Europa. Nata per evitare il ripetersi di guerre in Europa, Shuman, uno dei padri fondatori, disse “La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano”. “L’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto.” Ricordiamocene. E quindi altro che 800 miliardi per il riarmo: ricordo le ultime parole del Papa del 20 Aprile scorso, 4 giorni fa: “Nessuna pace è possibile senza un vero disarmo. No alla corsa al riarmo”.

Ne è passata di acqua sotto i ponti dalla nascita dell’Unione europea, ma i principi ispiratori sono da rispolverare: dignità umana, libertà, democrazia, uguaglianza, Stato di diritto, rispetto dei diritti umani compresi i diritti delle minoranze. E’ intorno a quei principi che dobbiamo ritrovarci. Dovremmo esportarla la democrazia. E’ senza dazi.

Vincere le elezioni non è diventare padroni, non è comandare. E’ governare. E’ garantire la pace e la convivenza. Governare non è erigere muri ma svolgere un’attività politica capace di governare i problemi, la complessità.

Ridurre la policy e la governance ad atti di imperio sconvolge fragili equilibri e può provocare reazioni drammatiche. La brama di potere e un sistema finanziario di rapina accecano il potente e trasformano i cittadini in sudditi e in consumatori.

Diceva Rosina Cantoni in un’intervista parlando del fascismo: Se no si sta atens, purtrop, che robe lì a gire simpri intor. E si scugne no desmenteà, e contà. Io o voi a contà.

Parcé bisugne sta simpri atents.

Scrisse Calamandrei in protesta per la liberazione del ”camerata Kesselring”

“Su queste strade se vorrai tornare

ai nostri posti ci troverai,

morti e vivi collo stesso impegno

popolo serrato intorno a un monumento

che si chiama ORA E SEMPRE RESISTENZA.

A rischio di essere ridondante, ho voluto concludere con questa frase perché credo sia sempre e ancora e oggi più che mai il momento di dimostrare che la Resistenza è viva.

Viva l’unità degli antifascisti,

Viva la nostra amata Costituzione,

Viva la Pace

Viva il 25 Aprile.

Alessandra Missana