Orazione di Adriano Bertolini alla cerimonia del 12 febbraio 2022 presso il cimitero di S.Vito a Udine


Saluto i presenti, i rappresentanti delle istituzioni, le associazioni presenti

1 Penso che oggi, commemorare i giovani che qui sono morti 77anni fa, sia una occasione giusta per riflettere sullo stato della democrazia, della giustizia sociale ed economica che da essa non può essere disgiunta e che allora aveva mosso tanti di quegli uomini a prender parte alla Storia del proprio Paese, qui come in altre parti d’Europa occupate dal Nazifascismo. Qualcuno con consapevolezza e convinzione politica formata, qualcuno per impulso morale contro la violenza del regime fascista e la sua guerra, altri per un sentimento solidale nei confronti della propria comunità; con errori e limiti, ma tutti questi uomini si erano messi dalla parte giusta. Si poté così costruire un nuovo Paese in cui fossero riconosciuti i valori ed i diritti universali, in cui le persone fossero chiamate a farsi carico della responsabilità dei loro destini e di quelli della comunità; così in Italia ma anche in buona parte d’Europa libera. Molti ebbero il coraggio di credere in quella possibilità e quel credere ebbe i suoi frutti.  Settant’anni di pace, di sviluppo economico e di progresso sociale e civile. E noi sentiamo oggi l’orgoglio di stare ancora da quella parte, indipendentemente dalle nostre appartenenze politiche, perché Costituzione italiana ed ideale Europeo sono i frutti del miglior pensiero democratico del novecento, di quello liberale, cattolico e di quello socialista, allora uniti dalla esperienza antifascista. La divisione di questo campo, quando riduce l’antifascismo ad una giaculatoria e non lo considera nel suo valore primario di cultura civile e morale, impoverisce la vita democratica ed indebolisce la politica.  La questione democratica ora è tornata prioritaria ed urgente; certo, non nei modi tragici di 80 anni fa ma non si può negare che la democrazia attraversi un momento critico in Europa e nel mondo. E la barca, si sa, è la stessa in questo mondo sempre più piccolo se, come la Storia ci mostra (e, a chi vuole, insegna) i diritti e le libertà o sono di tutti o non ci saranno neanche per noi; magari un poco alla volta, in modo strisciante e subdolo si perdono: prima nella coscienza e nella cultura dei cittadini, poi nelle leggi.

Gli Stati europei sono stati messi a dura prova prima dalla crisi finanziaria e poi da quella sanitaria; sia quelli di consolidata storia democratica, sia una parte dei Paesi dell’Est di recente ed ancora incerta esperienza democratica, che stentano a condividere o addirittura rigettano i principi ed i valori fondativi dell’Europa Unita e danno vita a Regimi illiberali, se non autoritari. Negli Stati uniti si è visto un tentativo violento di eversione, sostenuto, o comunque condiviso, da una parte non piccola di popolazione spaventata dalla crisi economica e migratoria. Sono di questi giorni i venti di guerra che dal medioriente si sono spostati ai confini d’Europa, in Ucraina. In sostanza, la democrazia come l’abbiamo concepita fin’ora è in discussione e pone le forze democratiche, ma tutta la società civile, di fronte alla necessità di conciliare interessi economici, giustizia sociale e diritti civili e recuperare strumenti e spazi di partecipazione alla vita pubblica.

La crisi finanziaria prima e poi la epidemia di covid hanno messo a dura prova ancor più il nostro Paese, mettendo in evidenza lacune ed inadeguatezza delle sue strutture, ma soprattutto ha fatto emergere le criticità storiche nella nostra società civile e politica. La crisi di rappresentanza dei partiti, l’allontanarsi dai ruoli che la Costituzione aveva assegnato loro in una visione di democrazia partecipativa, rischia di compromettere, nel tessuto sociale, l’unità indispensabile per far ripartire non solo l’economia, ma anche per ricostruire un sentire comune che permetta di attingere a tutte le migliori risorse della cultura politica e civile del Paese che oggi sono indispensabili. Ci si è chiesti, fin dall’inizio della epidemia, quale sarebbe stato il costo e soprattutto chi lo avrebbe pagato nella società. Ora che ci stiamo forse avviando alla fine del periodo più critico, possiamo cominciare a tirare le somme di un calcolo che non può essere solo economico, per quanto importante e decisivo sia stato questo aspetto, grazie alla azione, finalmente concorde, dell’Europa.

 Ci stiamo avvicinando quindi ad un momento in cui si dovranno prendere decisioni che segneranno per molti anni il futuro di tutte le persone che attendono di ricominciare una nuova fase e si chiedono quale sarà il loro posto: se sarà migliore o peggiore di prima. Verrà richiesto quindi, come oltre settant’anni fa alle forze politiche e sociali democratiche, uno sforzo per individuare dei punti fermi comuni di riferimento; un punto fermo da cercare nei valori fondativi della nostra Repubblica e quindi nella sua Costituzione, con la volontà di attuarla pienamente, nello spirito e nella lettera.

La crisi di qualità della politica non ha saputo dare risposte sufficienti a vasti stati di popolazione; ne ha risentito la fiducia nelle istituzioni e si sono creati spazi per strumentalizzazioni di segno demagogico che hanno impoverito il confronto politico con semplificazioni fuorvianti ed alla fine estranianti, come si vede dal massiccio astensionismo elettorale. Si sono anche ridotti gli spazi ed i luoghi reali del dibattito politico. La riforma elettorale ha sottratto, fin già nei comuni, spazio di confronto e di reale esercizio di democrazia, ha reso ininfluenti le minoranze e depotenziando il consiglio stesso rispetto al sindaco; ciò in particolare nelle nostre piccole comunità, dove il confronto in aula rappresentava anche una palestra politica e di crescita civile per i giovani motivati da valori e passione politica, non solo da ambizione, se non da interessi come tende a succedere.  E giovani preparati e dotati di un patrimonio di conoscenze e di valori ci sono, in tutti i campi; dobbiamo chiederci se hanno uno spazio adeguato o se dobbiamo continuare a vederli riprendere le valigie come i loro nonni, anche se con la laurea invece della cazzuola e forse con meno speranze. Ed ancora una volta non è solo una questione economica, ma si tratta di cittadinanza piena, di creare le condizioni per la formazione  nuove classi dirigenti consapevoli e partecipi della vita sociale, economica, culturale di questo Paese; di mettere a frutto le esperienze di giovani che ormai sono cittadini europei, che guardano fuori dagli angusti ambiti localistici e che, se non avranno la possibilità di  declinare i loro saperi professionali in un contesto ed in un contesto culturale adeguati, determineranno un grave irreversibile impoverimento culturale ed economico delle nostre comunità e territori. compromettendone il futuro.

2 Ma non voglio chiudere senza accennare ad un tema che periodicamente torna alla ribalta e che in questi giorni si ripropone come elemento divisorio e pretesto di cicliche polemiche che ormai stanno mostrando la corda nella loro insistente strumentalità, nel solco di un uso politico della storia.

E mi riferisco alla “giornata del ricordo e della complessa vicenda dei confini orientali” che ha un nesso con la questione della democrazia e del valore della concordia di cui oggi abbiamo parlato.

Il gesto provocatorio ed incivile dell’abbattimento del cartello di dedica di una rotonda a Norma Cossetto in questa città, ci indica che la strada da seguire non può essere se non quella suggerita da una volontà sincera di avvicinarsi ad una verità storica, senza pregiudizi e forzature, fondando quindi le convinzioni che ispirano il nostro agire su basi storiche e non su impellenze politiche di parte, in particolar modo quando ricopriamo ruoli istituzionali. Su questo piano si può costruire condivisione a vantaggio della vita civile e democratica della nostra comunità.

Perché la pagina dell’Esodo istriano diventi patrimonio di tutti gli italiani, gli sloveni ed i croati e che questi popoli non continuino a coltivare rancori e rivalse reciproche, bisogna che i fatti vengano collocati nella Storia del 900, certo attraverso la memoria dei protagonisti, di tutti i protagonisti, ma soprattutto attraverso i documenti storici. La legge istitutiva della giornata del ricordo, dice “conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”. La storia dell’Esodo istriano infatti, comincia, se non con il 1919, perlomeno nel ‘41 con la dichiarazione di guerra e l’invasione della Jugoslavia; guerra persa dall’Italia fascista insieme alle terre acquistate con la prima guerra mondiale. Se si sorvola su questo ultimo punto del testo della legge istitutiva, non si rispetta la Storia. Restano i dolori e le tragedie personali degli esuli e di quanti quella guerra la pagarono con la vita: croati, sloveni, italiani, ma non la consapevolezza delle cause ed il contesto storico in cui si svolsero, perché tutto ciò diventi patrimonio di chi vuole la pace, di qua e di là dei confini che ora peraltro esistono solo in chi li vuol vedere o li rimpiange. Si finisce così per fomentare rancori reciproci e mantenere viva dopo settantacinque anni una polemica che può ancora avere una sua qualche resa politica, ma non fa onore a nessuno (a chi l’onore è tenuto ad averlo nel momento in cui assume responsabilità pubblica e cariche istituzionali.)

E se la storia non può essere dettata dalla politica, ma indagata e scritta dagli storici, dobbiamo preoccuparci ogni volta che viene messo in discussione questo punto fermo che distingue e caratterizza la cultura democratica. Troppo spesso in questi anni sono venute censure politiche indebite da ruoli istituzionali. Penso a quella esercitata nei confronti della mostra degli studenti sulle leggi razziali del 38 a Trieste, ma anche a quella nei confronti del Vademecum per il giorno del ricordo, prodotto da storici di indiscussa fama delle nostre Università regionali, ma non collimante con le passioni politiche di qualche esponente regionale; penso all’arbitraria qualificazione politica discriminatoria ai danni di aziende editoriali. Sono solo alcuni dei troppi esempi di atteggiamenti ed azioni che rivelano una costante tendenza: C’ è una parte del mondo politico, che ha responsabilità istituzionali, che tende a screditare un soggetto politico mai ben definito, attribuendole gratuitamente posizioni di volta in volta negazioniste o, nell’ultimo corso, riduzioniste, con questo vago neologismo che sottintende l’attribuzione ad un politico di una preoccupante discrezionalità di giudizio in materia storica.

In realtà si è voluto ignorare per anni il faticoso lavoro della Commissione paritetica Italiana e Jugoslava che aveva lavorato alla ricomposizione dei tasselli di una Storia lasciata macerare troppo a lungo, imprigionata dai condizionamenti della politica internazionale che toccava i vecchi confini orientali della nostra Regione e del Paese. Si sa che gli esuli di ieri e di oggi sono vittime delle politiche e degli interessi internazionali, succedeva ieri e succede oggi e questo parallelo dovrebbe far riflettere su alcune contraddizioni in proposito

 Ora quei condizionamenti sono venuti meno, non vi sono più nemici alle porte per nessuno e può prevalere la volontà di pace e di unione tra popoli e culture che già hanno conosciuto in passato esperienze di convivenza pacifica e culturamente proficua in una dimensione europea ante litteram. Ora dobbiamo far cadere altri ostacoli: prima di tutto la difficoltà di fare i conti con la Storia fascista del nostro Paese ed il costume di usare la storia ed i suoi drammi e le sue tragedie per fini di politica spiccia, individuando, a comodo, dei nemici politici trasformandoli in nemici della Patria, o della Nazione. E’ una antica tattica che nella storia ha sempre trovato modo di essere adottata.

Bisogna dire che L’appartenere all’Unione Europea è un forte aiuto per superare vecchi steccati e – chiuderei con una nota positiva– in questa direzione va la candidatura sostenuta in comune di Gorizia e Nova Goriza a Capitale Europea della Cultura nel 2025; è un notevole passo avanti sulla strada giusta, anche rispetto a vecchi risentimenti divisivi su base nazionalista anti slava coltivati dagli stessi ambiti politici e culturali che oggi la promuovono. (ma si sa, le contraddizioni non sono più un problema in certo nuovo corso del pensiero, basta declassarle a varianti). Ma certo quella è la strada, specialmente se ce la ispirano non solo le opportunità economiche o politiche del momento, ma anche il sentimento che è prevalente ormai nella parte migliore delle nuove generazioni, che è la maggior parte. Di fatto le nuove generazioni hanno già acquisito, oltre che atteggiamenti, convinzioni e comportamenti che riflettono una disponibilità ad appartenenze che superano i confini nazionali ed i provincialismi culturali nella loro forma angusta. E chiudo con questo, che è oggi il motivo di speranza più positivo e che richiama a responsabilità la nostra generazione, le classi dirigenti della società civile, in particolare chi ha un posto nelle istituzioni.

Adriano Bertolini Vice Presidente dell’Anpi Provinciale di Udine