Sono passati 80 anni da quell’evento, uno tra i più sanguinosi e drammatici della resistenza friulana ma noi continuiamo a venire qui testardamente, ogni anno, perché qui, come in tutti gli altri luoghi dove sono morti partigiane e partigiani, qui con il sacrificio di 23 partigiani, garibaldini e osovani, condannati dal Tribunale Speciale per la Sicurezza pubblica, fucilati dalla Milizia di Difesa Territoriale serva dell’occupante nazista, come rappresaglia per l’assalto alle carceri del 7 febbraio 1945 è nata l’Italia libera, democratica e repubblicana, è nata la Costituzione.
Partigiani garibaldini e osovani a rappresentare l’unità della Resistenza, unità che ancora oggi l’ANPI intende rappresentare, al di là delle esecrabili tragedie come quella dell’eccidio di Porzus, che a 80 anni dai fatti continua ancora ad alimentare polemiche e divisioni. Ricordo che la nostra associazione fin dalla sua fondazione a Roma nel lontano giugno del 1944, riunì al suo interno tutte le rappresentanze antifasciste che contribuirono alla Liberazione del nostro Paese.
Mi sento di ribadirlo in questa sede perché le divisioni in questo campo, rischiano di ridurre l’antifascismo ad una giaculatoria e a non considerarlo, invece, nel suo valore primario di cultura civile e morale, impoverendo così la vita democratica ed indebolendo la politica.
Ma a cosa serve ricordare e fare memoria? Queste lapidi sono a monito perché non succeda mai più oppure un segnale di avvertimento: preparati che prima o poi tutto si ripeterà di nuovo?
Il dubbio viene, per la verità. Il dubbio che il passato non insegni per davvero. Che la memoria collettiva sia uno strumento fragile, facilmente manipolabile.
La convinzione che ho è che non basti la memoria, ma che sia necessario aggiungere un faticoso, quotidiano, lavoro di studio della storia e di comprensione di dove stiamo andando.
Perché, come nella vita, la memoria e la storia sono efficaci se determinano la scelta di comportamenti, non se sono solo una mostra di ricordi da celebrare.
Essere qui a ricordare significa aver ben presente che se oggi siamo cittadine e cittadine liberi è grazie alle donne e agli uomini che seppero scegliere da che parte stare, seppero lottare mettendo a rischio la propria vita.
Significa ricordare, soprattutto nell’imminenza del Giorno del Ricordo, un tema che periodicamente torna alla ribalta e che in questi giorni si ripropone come elemento divisivo e pretesto di cicliche polemiche.
La Legge istitutiva del Giorno del Ricordo oltre a riferirsi alle tragedie delle foibe e dell’esodo istriano dalmata fa esplicito riferimento alla più complessa vicenda del confine orientale. Perciò nel rispetto e senza voler offendere le vittime delle foibe e ignorare il calvario dell’esodo, chiediamo che i fatti vengano contestualizzati.
Ci si dimentica completamente di spiegare cosa fu e cosa fece il “fascismo di confine” che dal 1919 in poi portò violenze e distruzioni nei confronti sia delle minoranze slave che degli oppositori politici al nascente fascismo.
Ci si dimentica di parlare dell’invasione italiana della ex Jugoslavia del 6 aprile 1941, guerra dalla quale l’Italia fascista ne uscì sconfitta, perdendo le terre acquisite con la Prima guerra mondiale.
Ci si dimentica che gli occupanti italiani agli ordini di comandi militari, successivamente accusati di crimini guerra, si resero responsabili di stragi efferate, internamenti e di ogni atrocità nei confronti dei civili.
Se si sorvola sulla più complessa vicenda del confine orientale, citata nella legge istitutiva, non si rispetta la Storia.
Restano i dolori per le vittime e le tragedie personali degli esuli e di quanti quella guerra la pagarono con la vita: croati, sloveni, italiani, ma non la consapevolezza delle cause ed il contesto storico in cui si svolsero, finendo così per fomentare rancori reciproci e mantenere viva dopo tutti questi anni una polemica politica che non fa onore a nessuno soprattutto a chi l’onore è tenuto ad averlo nel momento in cui assume responsabilità pubblica e cariche istituzionali giurando sulla Costituzione nata dalla Resistenza.
Ristabilire quindi la verità storica perché diventi patrimonio di tutte le persone che vogliono la pace, di qua e di là dei confini che esistono ancora oggi solo in chi li vuol vedere o li rimpiange.