Non si parla mai dei crimini del comunismo di  Gianluca Falanga


Non si parla mai dei crimini del comunismo di  Gianluca Falanga

recensione a cura di Carlo Baldassi , comitato direttivo Anpi “Città di Udine”

In questo documentato e coinvolgente lavoro, G. Falanga (che attualmente lavora a Berlino sulle attività della Stasi) sottolinea anzitutto come la vasta pubblicistica disponibile sugli ex regimi comunisti possa ampiamente tacitare generiche critiche di ‘silenzi’ che provengono da destra e che in realtà – più che fare storia – mirano a generare interessati ‘conflitti di memorie’ sui totalitarismi novecenteschi. Il loro obiettivo ‘nascosto’ sui ‘100 milioni di uccisi dal comunismo’ è spesso quello di coinvolgere nelle colpe le ‘sinistre’ e in particolare gli ex comunisti europei che tuttora si impegnano per una società più giusta. Allora altro che ‘silenzi’: ne sappiamo molto da decenni, così ad es. sullo stalinismo potremmo ricordare il celebre ‘Buio a mezzogiorno’  di A. Kostler del 1940 o i lavori di A. Solgenitzyn,  da ‘Una giornata di I.Denisovic’ (pubblicato anche in URSS nel 1962) ad Arcipelago Gulag (1973). In Italia potremmo ricordare anche molti documentari televisivi (da L.Cavani ed E. Biagi negli anni ’70 a Rai Storia di oggi) e film come ‘Il sospetto’ (1975). In ogni caso nelle pagine finali Farlanga presenta una ‘topografia internazionale della memoria’ che illustra le varie evoluzioni politiche postcomuniste e le molte iniziative che dopo il 1989 ricordano caratteristiche e crimini di quei regimi.

Sul tema ‘totalitarismi’ Farlanga evidenzia subito alcune similitudini ma soprattutto le differenze con l’ineguagliabile regime nazista che da subito aveva obiettivi ben precisi (anticomunismo, antisemitismo, purezza della ‘razza’ e Grande Germania). Quindi richiama analiticamente e senza alcuna edulcorazione varie esperienze, dall’URSS ai satelliti in Europa orientale e sino alle esperienze nazional-rivoluzionarie in Cina, in Asia e nel Terzo mondo. Tratti comuni furono l’indottrinamento  e la repressione preventiva atti a rendere ‘omogeneo’ il corpo sociale al quale veniva offerta una ideologia sostanzialmente falsata e ossificata che inibiva le oneste idealità e che soprattutto in Europa orientale metteva in secondo piano anche certe conquiste sociali. Basterebbe ricordare la violenza anche psicologica della famigerata Stasi – la polizia segreta della ex DDR- riassunta anche in quel bel film dal titolo ‘Le vite degli altri’. (2006).

Tuttavia se l’adesione di milioni di uomini nel mondo non fu solo ‘propaganda’ ma militanza viva significa che il movimento comunista aveva anche dai nobili riferimenti valoriali comuni: insomma K.Marx non c’entra con i gulag o col ‘grande balzo’ cinese.  Inoltre ci furono differenze notevoli tra le varie ‘letture’ (dal bolscevismo al trotzismo, dall’anarchismo di sinistra al terzomondismo) né possiamo dimenticare gli scarti storici di lungo periodo. Infatti, mentre il marxismo (europeo) occidentale idealizzava ‘..il socialismo come palingenesi dell’umanità e, sviluppandosi come pensiero e prassi critica di opposizione, ebbe a cuore i temi dell’antitiautoritarismo e dell’antinazionalismo..’ il ‘marxismo’ orientale sin dal 1917 ebbe invece da subito una concezione ‘militarista’ e repressiva ‘..riducendosi per il tramite del bolscevismo a strategia per la presa e conservazione del potere in uno stato nazionalrivoluzionario’. (ivi pag.68).

L’idea leninista – condizionata non dimentichiamolo dalla crudele 1a Guerra Mondiale interimperialistica e poi dalla Guerra Civile – era che il processo rivoluzionario dovesse essere compito di un’elite forgiata e implacabile (pag.83), concetto ‘iperpolitico’ figlio dei tempi ma lontano dall’idea marxiana e socialista di autogoverno.  Certo anche nel giovane Marx del 1948 qualche residuo di giacobinismo restava, così come restava una visione negativa sul futuro dell’economia capitalistica (che resta anche nella sua multiformità attuale contraddittoria e con molte ingiustizie nonostante alcune conquiste democratiche). Tuttavia a parere di molti resta utile il metodo del pensatore di Treviri (che fu anche uno dei fondatori della sociologia) per cogliere la complessità delle vicende storiche considerando come nel cambiamento la priorità restano i processi reali nella società civile. Questi processi hanno i loro tempi e le loro specificità nazionali, fattori sempre attuali già colti da socialisti come A.Labriola e da comunisti quasi ‘eretici’ come R.Luxemburg e A.Gramsci.

Così  Gramsci mentre  era in carcere negli anni ’30 studiava le possibilità e le modalità di una rivoluzione socialista in Occidente evidenziando come ‘In Oriente lo Stato era tutto, la società civile era primordiale e gelatinosa; nell’Occidente tra Stato e società civile c’era un giusto rapporto e nel tremolio dello Stato si scorgeva subito una robusta struttura della società civile’.  (Q.7). E non a caso Gramsci fu tra i primi a definire la rivoluzione bolscevica come una rivoluzione ‘contro il Capitale’ e molti furono i comunisti anche italiani assassinati da Stalin. Sono elementi storici su cui giustamente anche Farlanga si sofferma e in particolare egli richiama la peculiare storia ‘asovietica’ e riformista del PCI, il quale – accanto ad errori e qualche cruda ambiguità togliattiana – ebbe un  ruolo decisivo nella Resistenza e nel rinnovamento dell’Italia e dell’Europa. Sul PCI si veda anche il recente bel lavoro di S.Pons (I comunisti italiani e  gli altri).

P.S. Nelle pagine finali dedicate alla topografia dei sistemi postsovietici, Farlanga presenta anche l’involuzione neozarista della Russia di Putin. Oggi con l’aggressione all’Ucraina ne emerge con evidenza l’assolutismo orientale e la crudeltà.