Inganno di Stato. Intrighi e tradimenti della polizia politica tra fascismo e Repubblica di Giorgio Boatti
recensione a cura di Carlo Baldassi , comitato direttivo Anpi “Città di Udine”
Frutto di un notevole lavoro di archivio, questo saggio di Boatti scorre con una narrazione avvincente e documentata decenni di attività e intrighi della polizia politica italiana tra fascismo e Repubblica.
L’obiettivo è dimostrare come gran parte dell’apparato repressivo del regime abbia in vari modi attraversato il 25 luglio e l’8 settembre 1943 ritrovando spazio prima nella RSI di Salò e poi – non surretiziamente – nell’Italia del primo dopoguerra e della guerra fredda. Personaggi quali Ceva, Leto, Senise e Guida furono per decenni abili organizzatori dell’OVRA nelle sue attività di infiltrazione, spionaggio e repressione degli antifascisti sia in Italia che in Europa, utilizzando tecniche spregiudicate ma efficaci anche per dividere il movimento clandestino. Esemplare ad es. la lunga manipolazione di un attentato terroristico a Milano nel 1928 sul quale Guido Leto imbastì una campagna contro gli esponenti di Giustizia e Libertà che portò in prigione in più fasi antifascisti quali L.Ginzburg, E.Rossi, R.Bauer e F.Parri (v. pagg.149 e 198). Il Leto fu un personaggio davvero centrale, che ritroveremo sino al dopoguerra e fu autore tra l’altro di un ’vademecum’ operativo per tutti i collaboratori dell’OVRA, utile anche per ‘monitorare’ il clima sociale interno. Tra i metodi efficace fu anche l’uso di infiltrati (citiamo il famoso Pitigrilli alias D.Segre) – solitamente prezzolati o ricattati – che in vari ambiti operavano per contrastare gli oppositori. Richiamando l’importante lavoro archivistico (e storico) di Claudio Pavone, l’A. illustra quindi le capacità di vari dirigenti della polizia politica fascista di ‘attraversare’ duttilmente le fasi cruciali dal 1943, come del resto fecero milioni di burocrati e borghesi italiani ‘attendisti’. Ma nel contempo quei dirigenti proteggevano abilmente (a volte anche contro i nazisti) i preziosi archivi del regime durante e dopo il loro trasferimento a Salò (pag.263- ‘attendere, agire, tacere’). Archivi preziosi perché -da un lato- documentavano miserie e durezze del fascismo che era meglio restassero coperte – e – dall’altro lato – contenevano anche storie personali che potevano venir utilizzate in ricatti. Nel descrivere la persistenza della filosofia tecnica e operativa dell’OVRA, Boatti richiama l’anguillesca capacità di alcuni dirigenti di ‘accreditarsi’ via via presso alcuni ambiti o personaggi dell’antifascismo e di passare quasi indenni le blande epurazioni dopo il 1945. Così l’attesa e necessaria ‘defascistizzazione ‘ del Paese non fu realizzata anche perché ‘..i veri quadri di comando dello Stato, e cioè le alte gerarchie burocratiche, erano rimaste immutate..’ In sostanza la proliferazione di norme malfatte ed un personale giuridico ancora largamente monarchico o compromesso col regime, generò nel dopoguerra ‘..una legalità incerta e una giustizia falsata e il moto di rinnovamento dello Stato fu impedito’ (pag.310).
Ancora una volta esemplare la storia di Guido Leto che – massimo dirigente della polizia politica fascista – fu assolto nel 1946 e – tornato in servizio – diventò delegato del Viminale alle scuole di formazione della Pubblica sicurezza della Repubblica nata dalla Resistenza. Per l’anticomunismo dei governi centristi andava bene anche lui.