Il suicidio della pace di Alessandro Colombo


Il suicidio della pace di Alessandro Colombo, Raffaello Cortina editore

recensione a cura di Carlo Baldassi , comitato direttivo Anpi “Città di Udine”

In questo corposo e importante lavoro, Colombo si pone l’obiettivo di comprendere i fatti e valutare il ‘che fare’ dopo la crisi dell’ordine liberale mondiale durato decenni.

Viviamo in un’epoca in cui lo spettro della guerra aleggia sempre di più e non solo ‘nelle periferie’ del mondo ma ‘a casa nostra’ (l’Ucraina è Europa). Ma com’è stato possibile dopo la caduta del Muro e dopo la clamorosa ‘vittoria’ dell’Occidente ? Erano veritieri quei confini tra ‘buoni’ e cattivi’ tirati dalla presunta ‘fine della storia’?

Intanto – dice Colombo – occorre ‘.. riconoscere.. che la condizione nella quale ci troviamo nel 2025 è in larghissima parte un prodotto di quella dalla quale eravamo partiti trent’anni fa’. Perché il celebratissimo ottimismo del capitalismo già negli anni Novanta del Novecento nascondeva errori, amnesie e trionfalismo anacronistico degli  establishment euro-statunitensi di fronte ai nuovi paradigmi ed ai nuovi attori che in vari modi reclamavano i loro spazi.

Da questo incipit l’A. sviluppa  il saggio diviso in due parti collegate: nella prima il trionfo illusorio dell’Occidente liberale ed una seconda parte dedicata al lento processo di disgregazione di questo progetto che conduce al ‘..mondo senza controllo nel quale ci troviamo oggi’. Ripercorrendo  la storia dal 1945 (il ‘secolo americano’), Colombo ne ricorda le conquiste anche delle ‘periferie’ (fine del colonialismo storico, inizio di uno sviluppo economico autonomo, crescente salute delle popolazioni ecc) ma queste traiettorie positive e molteplici non furono adeguatamente confermate sul terreno politico. Di fatto dopo trent’anni di coesistenza più o meno pacifica tra i due blocchi ideologici URSS/USA, dagli inizi degli anni ’80 le cose cominciarono a cambiare. Intanto già dai primi anni ’70 si addensarono crisi economiche (1971/1973) che generarono una inusitata stagflazione a cui il capitalismo oppose il ritorno del ‘mercato’ come dominus ma anche una crescente innovazione tecnologica che si diffuse rapidamente nel mondo. Per affrontare una competizione allargata e i crescenti debiti pubblici, in Occidente partirono anche massicce  privatizzazioni che intaccarono via via il ruolo dello Stato (da Thatcher a Reagan, con i successivi emuli). Parallelamente  le varie destre sviluppavano una pressione internazionale sulle esperienze ‘progressiste’ (Cile, Cuba ecc sino al ruolo dei partiti di sinistra in Europa) e in particolare premevano sul già vacillante impero sovietico ad Est (Solidarnosc) sino alla scomparsa improvvisa dell’URSS nel 1991 (che peraltro lascerà qualche cancelleria momentaneamente ’orfana’ anche in Occidente).

Dagli anni Novanta l’Occidente liberale consolidava la sua egemonia politico-economica creando un Nuovo Ordine Mondiale (NOM) unipolare, grazie – ricorda Colombo- anche al ruolo ‘collaterale’ dei vari organismi internazionali (ONU, FMI, G7 ecc). La stessa prepotente innovazione tecnologica favoriva la diffusione di culture occidentali generando larghi fenomeni di omologazione in un contesto che sembrava ormai stabile. Infine il NOM aveva anche l’obiettivo di svolgere un’azione di ‘sorveglianza’ contrastando vari regimi autocratici ma senza considerarne le differenti storie e i timori (ad es. la Nato vs. la Russia di Putin).

Eppure, sotto l’euforia del ‘villaggio globale’ maturavano altri fenomeni:  il mondo – come detto – stava comunque diventando più multiforme e multiculturale, rilanciando precedenti culture ora – anche economicamente- meno ‘subalterne’ e potenzialmente foriero di nuove divisioni e nuovi conflitti. Di fatto ‘Verso la fine del Novecento…diversi fattori sembravano favorire una rivincita dei linguaggi locali..: la ripresa  dei ‘repertori di identità’ di carattere etnico-religioso..’ nell’Europa Orientale, nei Balcani e nell’Asia centro-meridionale e nel Medio Oriente. (pagg.34 sgg).

E le tendenze alla ‘balcanizzazione’ dei rapporti internazionali ponevano già domande sul possibile scontro tra ‘civiltà’ (S.Huntington- 1993) che emergerà in particolare dal 2001 quando la lotta al terrorismo islamico divenne il paradigma che generò le successive guerre USA in M.O. e anche fece ‘chiudere un occhio’ agli occidentali sulle repressioni di Putin in Cecenia e su quelle di Israele contro i palestinesi. Parallelamente la impetuosa globalizzazione economico-finanziaria si accompagnava via via all’indebolimento del ruolo storico dello ‘Stato-Nazione’ di matrice europea, creando complessità e asimmetrie in molteplici processi con una crescente frammentazione interna (le nostre società liquide) e dei rapporti internazionali. A questo punto però al Nuovo Ordine Mondiale capitalistico-occidentale cominciano a presentarsi criticità sempre più pesanti. Di esse Colombo propone un interessante percorso su quattro miniperiodi: a) 2001/2008: inizio della crisi del NOM; b) 2008/2013: la Grande Crisi finanziaria e l’erosione delle basi dell’ordine liberale con il ritorno degli Stati ‘salvatori’; c) 2013/2020: ri-statalizzazione del confronto internazionale e nuova competizione tra potenze e d) 2020/2024: il crollo definitivo del NOM (con la crescente debolezza dell’UE) e la ri-militarizzazione dei rapporti internazionali dopo l’aggressione russa all’Ucraina e le guerre nel Medio Oriente.

Quelle fasi portano al nostro oggi, in cui  crescono in modo confuso le tendenze ad una relativa de-globabalizzazione o una ri-regionalizzazione degli scambi (ma non dei servizi finanziari e tecnologici-ndr) accanto al ritorno a posizioni di potenza con nuovi attori (Cina, gli altri Brics ecc) e mutevoli scenari (i neocolonialismi in Africa, i contrasti interni al mondo islamico ecc). Così dopo gli anni della ‘pax liberale’ si è generata una crescente sensazione di instabilità/vulnerabilità degli attori in un contesto globale più critico. E per chiarezza scientifica Colombo ribadisce come due sono state le principali cause della situazione attuale, entrambe sorte all’interno dell’Occidente: le conseguenze della ‘sporca’ guerra che USA e UK scatenarono in Irak (2003) con la progressiva moltiplicazione dei conflitti ‘regionali’  e la gravissima crisi del capitalismo finanziario del 2007/8 che ancora genera incertezze e crisi sociale (importante l’analisi su ‘il tornante’ da pag,185 che smaschera ogni autoindulgenza dei pifferai del capitalismo finanziario).

Anche A.Giannuli (Geopolitica-2024) ricorda come ‘.. Dal 1990 al 2008 il progetto di globalizzazione a impianto neoliberista coincise col nuovo ordine liberale (ma) poi sono arrivati una serie di eventi che hanno smontato pezzo per pezzo tutto l’impianto progettuale. In primo luogo il grande crack del 2008, che secondo i dogmi della scienza neoliberista non avrebbe mai dovuto verificarsi…Poi un decennio di incertezze che mescolarono.. (i rischi) di una nuova ricaduta nella crisi finanziaria  con i sempre più frequenti rovesci militari americani ..in Asia centrale’ .

Allora come uscire dal ‘mondo fuori controllo’ evitando ipocrisie ma senza seguire strade aggressive (Putin), conflitti etnico-religiosi (M.O, India vs. Pakistan ecc) o le oscillazioni di leader inaffidabili come Trump che mettono in difficoltà nuove anche il rapporto USA/UE? Qui Colombo ipotizza alcune vie, sino a soluzioni ibride tra nuovo universalismo più democratico di una grande potenza (USA) accanto ad un  pluralismo ’di grandi spazi in se ordinati e coesistenti, di sfere di intervento e di aree di civiltà’. (pag.271). Resterebbero comunque domande inevase sulle possibili relazioni tra queste aree di influenza, ma in ogni caso occorre che gli ‘occidentali’ (i cui  valori più nobili vanno difesi) pratichino l’idea che finalmente si deve tener conto anche ‘degli altri’.

P.S.(ndr)  Anche se gli esordi del Trump Due non fanno ben sperare, di fronte a queste incertezze le forze progressiste europee debbano porsi almeno due obiettivi: a) ridare autorevolezza ed  efficacia agli organismi quali l’ONU spesso disattesi o anche insultati  e b) operare affinchè i cluster di economie omogenee (come la UE) adottino comunque una ‘globalizzazione più intelligente’ (D.Rodrik – 2011) per difendere le proprie conquiste sociali e le opportunità di sviluppo sostenibile grazie a investimenti comuni, evitando perniciosi avvitamenti neomilitaristici.