I comunisti italiani e gli altri di Silvio Pons 


I comunisti italiani e gli altri di Silvio Pons 

Con questo documentatissimo lavoro, Silvio Pons analizza in modo storiograficamente innovativo l’evoluzione delle posizioni internazionaliste del PCI, legate per decenni al significato della rivoluzione sovietica ma sempre intrecciate con una profonda capacità di lettura della società italiana (e delle complessità in occidente) derivante in particolare da Gramsci. In questo scenario si sviluppa anche il ruolo dei comunisti italiani all’interno dell’antifascismo prima, durante e dopo la Resistenza.

Il libro si struttura su periodi e temi-chiave: il nesso tra rivoluzione ed egemonia (che per Gramsci dal 1921 significò il lavoro per ‘costruire una maggioranza nazionale integrata nel movimento internazionale’), i rapporti con l’URSS staliniana, l’analisi del fascismo come ‘regime reazionario di massa’ e le alleanze necessarie, la guerra fredda e l’impegno per un nuovo internazionalismo. Pons affronta apertamente anche temi delicati (es. l’avversione di Gramsci alla ‘statolatria’ in URSS e l’amarezza per i contrasti con il gruppo dirigente, il rapporto controverso  di Togliatti con Stalin e suoi errori di ‘stalinismo’ anche dopo il 1945) né tace sulle contraddizioni nelle varie fasi. Ma evidenziando sempre la peculiarità dei comunisti italiani che seppero poi – a differenza di altri – costruire un partito di massa, legato al mondo del lavoro e con una responsabilità democratica nazionale ed un notevole prestigio internazionale.

Nello specifico della Resistenza, questo libro ci permette di rileggere con una chiave ‘indiretta’ il ruolo del PCI dalla lunga fase clandestina allo sviluppo della lotta armata e alla Liberazione e che vide i comunisti diventarne la forza fondamentale sia politicamente che militarmente. Posizione che alcune sue componenti di base avrebbero utilizzato per una mitizzata evoluzione ‘rivoluzionaria’ della guerra partigiana (l’esempio della Jugoslavia), ma posizione che Togliatti respinse in modo netto e lungimirante per convinzione antica e per il realismo che derivava da Jalta.

Infatti dalla guerra civile in Spagna e dai fronti popolari, il gruppo dirigente attorno a Togliatti venne elaborando la  necessità di superare antiche faziosità (es. contro le socialdemocrazie) dando valore ad una democrazia ‘larga’ che -nonostante le contraddizioni legate alla difesa acritica dell’URSSed alla guerra mondiale alle porte- si sviluppò poi grazie anche alle radici gramsciane del ‘partito nuovo’. I valori dell’antifascismo furono vissuti in modo diverso dalle varie forze democratiche italiane laiche e cristiane e – in particolare per socialisti e  comunisti- furono la base su cui ipotizzare una ‘democrazia più avanzata’  coerente con il nuovo protagonismo delle masse popolari italiane. Questa ispirazione nel 1945/47 era guardata con attenzione in vari paesi europei (dalla Francia alla Cecoslovacchia)  cosìcche ‘La democrazia antifascista poteva esser vista come una nuova forma di modernità politica caratterizzata da varianti ed esperienze molteplici..’ (Pons a pag.106). Purtroppo essa – soprattutto ad Est – fu molto depotenziata dalla guerra fredda, ma in Italia non impedì alcune successive pur faticose conquiste sociali e  politiche nel solco della Costituzione e la stessa costruzione europea noi ha poi tratto stimoli.  Anni fa uno studioso scriveva che la nostra Resistenza fu ‘una rivoluzione vittoriosa ma non trionfale, una sconfitta politica ma non definitiva e per questo ha condensato attorno a se memorie diverse e conflittuali’.Rimangono nella nostra Costituzione indirizzi di ‘umanesimo socialista’ e alcuni articoli che vanno oltre una visione liberale classica: non solo i Principi fondamentali (in particolare l’art.3) ma anche quelli sui rapporti economici (artt.41 e 46) e sulle autonomie. Noi vecchi antifascisti ne siamo orgogliosi e li difendiamo.