EROI PERICOLOSI La lotta armata dei comunisti nella Resistenza di Gabriele Ranzato, ediz. Laterza
recensione a cura di Carlo Baldassi , comitato direttivo Anpi “Città di Udine”
Il libro di Ranzato illustra con documentata ampiezza il ruolo fondamentale dei comunisti italiani e delle formazioni garibaldine nella guerra di Liberazione 1943/45. Un saggio dove peraltro emergono i chiaroscuri – i ‘ma anche’ – i quali confermano la complessità delle vicende resistenziali che vanno sempre contestualizzate storicamente e che il lavoro fondamentale di C.Pavone (1992) ha ormai definito. Semmai oggi occorre ribadirne il valore contro certe denigrazioni o faziosità interessate riemerse in Italia sin dai primi anni ’90.
La costituzione delle formazioni garibaldine (il primo distaccamento fu costituito da M.Lizzero sul Collio nel marzo 1943) ebbe da subito un obiettivo duplice: essere l’avanguardia del nascente movimento armato resistenziale valorizzando la lunga opposizione dei comunisti al fascismo e fare dello stesso movimento la base per un esercito italiano finalmente ‘nazional-popolare’ al servizio di un paese profondamente rinnovato. Parallelamente anche il CLN ebbe un duplice obiettivo: liberare il paese dall’occupazione nazifascista e dimostrare che esisteva un’altra Italia degna di meritare la fiducia degli Alleati nel dopoguerra. In effetti solo grazie al movimento partigiano e ai nuovo esercito del Sud, l’Italia (già aggressore accanto a Hitler) evitò la dura sorte toccata a Germania e Giappone.
All’interno del vasto movimento di popolo che fu la Resistenza, i patrioti e i combattenti di ispirazione comunista (Brigate, GAP, SAP ecc) offrirono il più alto tributo di sangue costituendo larga parte di quella minoranza coraggiosa che seppe riscattare l’onore degli italiani (v.da pag.162). Via via le formazioni garibaldine in montagna, soprattutto dall’inizio 1944, seppero coinvolgere donne e uomini spinti da motivazioni molteplici: un protagonismo popolare soffocato per decenni, renitenza ai bandi repubblichini, senso di vendetta contro i crimini nazifascisti e in molti la ricerca di una ‘palingenesi’ esistenziale anche per riscattarsi da precedenti acquiescenze verso il regime. Ne aveva parlato con molta sensibilità anche C. Colombini nel suoi bel saggio ‘Storia passionale della guerra partigiana’– 2022. Animati anche dal mito dell’URSS vittoriosa, quei giovani si sentivano ‘garibaldini’ in modi diversi: se in taluni all’inizio mancava un orientamento preciso, altri erano agiti da una sorta di ‘comunismo istintuale’ (a volte anarchico e settario) mirante ad un obiettivo ‘sovietico’. Mentre un’altra parte più politicizzata – tra questi la maggioranza dei comandanti e dei commissari politici – considerava l’impegno militare nell’ottica del CLN unitario e della strategia togliattiana. Ruolo di questi capi (spesso inesperti) era di sviluppare educazione politica nei reparti e mantenere una rigorosa disciplina. Accanto alle fasi prettamente militari, anche i garibaldini partecipavano attivamente alle altre forme di resistenza civile (staffette, approvvigionamenti ecc) e parallelamente cercavano di costruire (e guidare) quei movimenti popolari di base che – unitamente ai CLN unitari ed ai partiti antifascisti – sarebbero stati alimento per una democrazia di tipo nuovo. Al proposito particolarmente interessante la parte del libro di R. dedicata alle zone libere partigiane (Ossola, Montefiorino, Carnia, Friuli Orientale ecc) che ebbero modalità plurime e dove – con successi, errori e fughe in avanti – si tentava di costruire i fondamenti della nuova democrazia italiana (v.da pag.222).
L’A. dedica attenzione anche all’impatto della guerriglia sulle popolazioni civili – spesso passive e umanamente desiderose solo di ‘veder finire la guerra’: da lì il costante dilemma partigiano tra combattere e il rischio di rappresaglie nazifasciste. Anche questo fu non di rado motivo di contrasto tra i garibaldini e altre formazioni di ispirazione monarchica o cattolica che a volte assumevano posizioni considerate ‘attendiste’ dai ‘pericolosi’ (?) comunisti. Questi contrasti generarono anche (rarissimi peraltro) dolorosi scontri, come la fucilazione di quattro garibaldini nel vicentino da parte dei badogliani (dic.1943) e l’eccidio degli osovani a Porzus per mano dei garibaldini di ‘Giacca’ (feb 1945). In realtà spesso le rappresaglie nazifasciste precedettero le azioni partigiane con rastrellamenti preventivi, (v. la linea gotica), deportazioni ed incendi di paesi, tutte azioni che fecero ben più vittime delle reazioni alla guerriglia. Di fatto – lo ricorda anche Ranzato – nella guerra totale scatenata in primis dai nazifascisti (comprese le feroci rappresaglie italiane in Slovenja e Montenegro) spesso i civili diventavano l’obiettivo principale ed anche gli Alleati consideravano quelle perdite ‘inevitabili’ – anche se pesantissime – conseguenze dei loro bombardamenti.
Nella parte finale il libro esamina alcune difficoltà della dirigenza del PCI nel conciliare la propria strategia unitaria all’interno del CLN nazionale con le spinte più ‘a sinistra’ nel CLNAI dove Secchia e Longo rappresentavano la ‘prima linea’. Il lavoro si chiude con la lunga preparazione dell’insurrezione del 25 aprile, a cui seguirono non solo inevitabili fucilazioni di noti fascisti ed epurazioni, ma – contro le severe disposizioni del CLNAI – anche esecuzioni sommarie spesso ad opera di sedicenti partigiani. Nota peraltro la sequela dei processi ai garibaldini che nel dopoguerra incendiarono un clima anticomunista, mentre troppi caporioni fascisti e criminali di guerra se la cavavano (v. M. Ponzani: ‘Processo alla Resistenza’– 2023).
Una nota finale. Questo libro avrebbe a mio avviso meritato considerazioni più adeguate su almeno due temi: il concetto di democrazia progressiva e l’ unicità della situazione nel Friuli VG. Il concetto di democrazia progressiva – centrale in Togliatti – venne via via sviluppato (ad es. da Curiel) con l’obiettivo di valorizzare e arricchire le istituzioni parlamentari pluripartitiche con l’apporto ‘dal basso’ dei nascenti organismi sociali e sindacali e costruendo ‘progressivamente’ (l’egemonia gramsciana) le basi per una qualche futura forma di ‘socialismo italiano’, sia pure tenendo conto della geopolitica dopo le intese tra i grandi a Teheran e Yalta.
In merito alle vicende in Friuli VG, dopo i disastri del fascismo la nascita precoce della resistenza slovena fu di guida e supporto ai garibaldini comunisti locali. Una parte dei quali guardava certo con ammirazione all’esperienza Jugoslava ma questo non significava l’accettazione di tutte le richieste territoriali slovene (cfr.Lizzero) e lo stesso sull’italianità di Trieste (cfr.Frausin). Purtroppo le cose in parte cambiarono nell’autunno 1944 (v. lettera della direzione Nord del PCI nell’ottobre) per ‘riassestarsi’ solo nell’estate 1945. Di fatto in quei mesi la sintonia garibaldina verso l’OF comportò errori politici come la subalternità finale al IX Korpus, ma ne va sempre ricordato l’insieme dei fattori: ideali socialisti comuni (v. i ‘monfalconesi’), OZAK nazista, ferocia della repressione tedesca con i suoi servi repubblichini e i cosacchi, confini da reinventare . Su entrambi i temi v. ISFML.