Dal Messaggero Veneto del 22 novembre 2022: L’archivio regionale degli internati di Giacomina Pellizzari


I nomi dei 1.162 militari friulani morti dopo l’8 settembre 1943 nei campi di concentramento, diventeranno il punto di partenza dell’archivio regionale degli internati militari italiani (Imi).

Lo creerà l’associazione dei partigiani (Anpi) assieme alle associazioni dei deportati (Aned) e degli alpini (Ana), con il contributo della Regione, nella sede di via Brigata re, a Udine. L’Anpi invita tutti coloro che custodiscono diari e testimonianze scritte dagli Imi a condividerle, mettendole a disposizione degli archivisti che non mancheranno di riprodurre gli originali prima di restituirli ai familiari.

L’obiettivo è «dare dignità a coloro che dopo l’8 settembre si sono rifiutati di collaborare con i fascisti e con i tedeschi» spiega il presidente dell’Anpi, Dino Spanghero, sfogliando il catalogo della mostra itinerante “600.000 no a Hitler e all’alleato Mussolini”.

Il progetto

È stato l’interesse suscitato dalla rassegna a far riflettere l’Anpi sulla possibilità di istituire l’archivio degli Imu. «Figli, nipoti, amici e conoscenti degli internati sono venuti a vedere la mostra e dialogando con loro è emerse che molti custodiscono ancora le testimonianze scritte nei diari di fortuna dagli internati militari che al loro rientro hanno raccontato molto poco. Da qui la decisione di creare il fondo Imi per recuperare i documenti rimasti nei cassetti».

Spanghero ripercorre i passaggi soffermandosi sulle sofferenze patite dagli internati, compresi gli alpini, di cui si sa pochissimo. «Anche i partigiani hanno parlato poco degli internati – continua Spanghero – forse perché volevano mantenere il primato della Resistenza». Basti pensare – lo spiega sempre il presidente dell’Anpi – che «lo stesso Alessandro Natta non riuscì a farsi pubblicare il libro “L’altra Resistenza I militari italiani internati in Germania” dal Pci, lo pubblicò quando divenne segretario del partito».

I numeri

«Varie circostanze hanno impedito che si parlasse dei 600 mila internati militari, i catturati erano centomila in più. La gran parte di quelli che hanno accettato di collaborare con i fascisti e i tedeschi l’ha fatto per tornare a casa» insiste il presidente dell’Anpi non senza chiedersi: «Quanti e chi erano questi ragazzi? Erano persone che avevano frequentato le scuole fasciste, figli della lupa, avanguardisti, eppure la stragrande maggioranza non ha accettato di collaborare con i fascisti. Dire però che erano antifascisti mi pare azzardato. Nel catalogo della mostra, Flavio Fabbroni, parla di dignità: “Si può dedurre – scrive – che il motivo principale del rifiuto alla collaborazione fosse il legame con la monarchia”».

Fu una scelta coraggiosa che determinò la permanenza degli internati nei campi di concentramento, dove molti incontrarono la morte. Il trattamento riservato agli ufficiali fu diverso: non erano sottoposti al lavoro obbligatorio spesso nelle fabbriche di armi. «Da tutto questo è nata l’idea di costituire un fondo archivistico per raccogliere, a livello regionale – precisa Spanghero – documenti, cimeli, storie individuali per rendere giustizia a questi giovani dimenticati».

Le collaborazioni

La prima a credere nell’archivio degli internati è stata la Regione che ha finanziato il progetto con circa 13 mila euro.

Grazie alla mostra diverse persone stanno contattando l’Anpi per raccontare le storie dei parenti scritte spesso nei diari. «Nella realizzazione del progetto abbiamo instaurato un rapporto di collaborazione con l’Aned e l’Ana, lo scorso luglio abbiamo incontrato i vertici degli alpini a Milano a cui è seguito l’invio di una circolare a tutte le sezioni per coinvolgerle nella collaborazione» continua il presidente dell’Anpi, il quale ha già analizzato il tema con i rappresentanti delle cinque sezioni Ana regionali: «Anche loro – assicura Spanghero – si fanno parte attiva con i loro associati per invogliarli a contribuire alla creazione del progetto. Non possiamo dimenticare che molti internati erano alpini. Vogliamo rendere giustizia ai protagonisti di fatti di cui si è parlato e si continua a parlare troppo poco».

In effetti, solo alla fine del secolo scorso l’allora presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, conferì la medaglia d’oro al valor militare all’internato ignoto.

I diari

Spesso gli internati annotavano le loro esperienze nei diari. Molti sono rimasti nei cassetti: «Contengono informazioni inedite, sono pagine di storia tutte da studiare» spiega Gianna Malisani, l’ex assessore comunale, figlia del sottotenente degli alpini, internato in Polonia, Giovanni Malisani, nel ricordare che lo storico Marco Avagliano ha ricostruito la storia degli internati basandosi proprio sulla diaristica. E il presidente dell’Anpi fa notare che a San Canzian D’Isonzo, nel corso della mostra, un signore di Gorizia ha portato il diario di suo padre, era un militare finito ad Amburgo, dove gli fecero cucire le divise militari. «Dobbiamo recuperare un diario anche a Udine» aggiunge Malisani soffermandosi sulla collaborazione in atto con l’università di Udine per assegnare una borsa di ricerca a uno studente interessato a studiare i documenti che l’Anpi sta recuperando dai privati. «La gente può portare i documenti qui, noi li scannerizziamo e li restituiamo». Uno dei diari da studiare è quello di Giovanni Malisani: «Siamo prigionieri. Piango – scriveva il 13 settembre 1943 il sottotenente dell’8° reggimento, catturato a Merano – nel vedere i miei Alpini partire oltre il Brennero per andare nei campi di concentramento e senza armi». L’archivio degli internati dell’Anpi, sarà l’unico in regione uno dei pochi in Italia: «Non sappiamo cosa sarebbe successo se queste persone avessero combattuto – riflette a voce alta Spanghero -, molti sono scappati e sono diventati capi partigiani, hanno costituito così le basi della Resistenza».

Giacomina Pellizzari-© RIPRODUZIONE RISERVATA

Messaggero Veneto 22 novembre 2022