A Cividale del Friuli: Giornata della Memoria


In occasione della giornata della memoria la sezione Anpi di Cividale del Friuli ha aderito a questa iniziativa promossa da: Associazione Musicale Sergio Gaggia, SOMSI, Museo Archeologico di Cividale e associazione Cividaje.
L’iniziativa è incentrata sulla Shoah ma non dobbiamo dimenticare tutte le vittime dell’olocausto che ha colpito le minoranze Rom, gli omosessuali, i politici e prima di tutti i portatori di handicap con il programma nazista di eutanasia “Action T4” iniziato dal regime già nel 1933.
La presenza al Museo sarà consentita solo a 50 persone munite di green pass rafforzato e seguendo le solite regole dettate dall’emergenza sanitaria.
La presenza ebraica nella città di Cividale
A Cividale la presenza di una comunità ebraica risale al 1239 e vi è segnalata addirittura l’attività di un tribunale rabbinico. Ebrei provenienti dalla Germania, dalle terre del Reno e del Meno, trasferitisi da Trieste a Udine, si stabilirono anche a Cividale ed ebbero un ruolo importante nella vita economica della città.
Erano ben integrati nella vita di tutti giorni, nel 1349 vengono emanate le regole di convivenza per permettere agli ebrei ed ai cristiani di celebrare le loro festività senza arrecare danno. Le attività erano lavorazione di tessuti, strazzaria, commercio di viveri.
Nel 1494 una delibera del governo viene emanata per la loro cacciata dalla città, ma si anno tracce della loro presenza a Cividale anche nel Cinquecento e primi del Seicento. L’insediamento a Cividale degli ebrei conobbe comunque una fase di declino e numerose sono le famiglie che decisero di abbandonare definitivamente le terre del Patriarcato per cercare fortuna chi nel vicino Veneto e chi nel centro Italia.
Fuori l’attuale porta san Giovanni era situato un cimitero, secondo la tradizione venivano seppelliti i defunti anche se morti in altri luogo. Dal 1390 il cimitero venne sistemato per paura che gli argini del rio Emiliano cedessero. La sinagoga probabilmente era situata in quest’area della Città.

Sul finire dell’anno 1938, l’Amministrazione civica di Cividale, in applicazione alla legge dello Stato fascista, procede al censimento di questi cittadini residenti nel Comune, in seguito al quale sulla loro scheda anagrafica individuale viene posta la dicitura: “appartenente alla razza ebraica; art. 8 comma a – R.D.L. 17-11-1938, n. 1728”. Da quella data la grigia nube della tragedia ebraica investe l’Italia e ha inizio anche per gli ebrei italiani il viaggio nel terrore del nazismo: discriminazione, persecuzioni, deportazioni, morte. Sabato 3 settembre 1938 anche a Cividale appare il “manifesto della razza “sull’antisemitismo, con un richiamo a quella parte del decreto-legge che esclude tutti gli ebrei dagli istituti governativi e che proibisce l’iscrizione dei fanciulli ebrei nelle scuole governative del Regno. Il 18 settembre del ‘38 il Duce, parlando a Trieste alla vigilia della sua visita a Cividale, pone in primo ordine la questione razziale come  necessità di mantenere  la superiorità di razza. L’Europa senza ebrei, sogno di sempre del nazismo, al cui fianco si schiera il fascismo italiano, si avvia al genocidio in massa degli ebrei con i campi di concentramento eretti a macchine scientifiche per dare la morte. Anche la città di Cividale ha le sue vittime. Dopo il crollo del fascismo, la disfatta dell’Esercito italiano e l’occupazione tedesca, il nuovo governo fascista approva a Verona il manifesto della Repubblica Sociale Italiana. La “risoluzione” del problema razziale si ritrova al punto 7 dello stesso manifesto: ” gli appartenenti  alla razza ebraica  sono stranieri. Durante  questa guerra appartengono  a nazionalità nemica.”

Elvira Schönfeld Piccoli e la figlia Amalia Piccoli
 Dobbiamo essere grati al Prof. Giuseppe Jacolutti, il Partigiano “Sella”, per lunghi anni Presidente dell’ANPI per aver svolto le ricerche e reso pubblica la tragica vicenda delle nostre due concittadine. Le sue parole ci descrivono i fatti:
“L’arresto di Elvia Schönfeld è preceduto, in date diverse, da perquisizioni alla sua abitazione. Famiglie benestanti, di imprenditori e commercianti, quelle degli Schönfeld-Piccoli e la signora Elvira donna d’alte virtù morali, riservata ed estranea ad ogni attivismo politico, dedita solo alla famiglia. Il 22 aprile 1944 un auto-anfibio dell’esercito d’occupazione tedesco si ferma sulla via Mazzini, di fronte all’ingresso principale della casa Piccoli e da esso scendono un sottufficiale e due soldati della SD (servizio di sicurezza del corpo delle SS). L’operazione si svolge con la massima rapidità: l’anziana signora viene prelevata, invitata a salire sull’auto in attesa e trasportata a Udine con la promessa di restituirla alla famiglia dopo un interrogatorio da parte del comandante territoriale della SD. La ventitreenne figlia Amalia, giovane riservata quanto la madre, appassionata di pittura, spinta da grande amore verso la genitrice, non vuole abbandonarla e, pur non richiesta, intraprende con lei il tragico viaggio che non avrà ritorno. Durante il trasferimento delle due donne dalle carceri di Udine alla risiera di S. Sabba a Trieste, nel triste edificio trasformato dai nazisti in campo di smistamento per le deportazioni in Germania ed in forno crematorio per gli uccisi, Amalia lascia cadere dal vagone ferroviario un biglietto all’indirizzo di Teresa Zuliani Dorigo, nota pittrice friulana. Il foglio contenente il breve messaggio viene fortunosamente raccolto da qualcuno e recapitato, probabilmente da un ferroviere; tant’è che in data 27 aprile la signora Dorigo, dopo le opportune ricerche, riesce ad informare il signor Alfredo Piccoli, fratello di Amalia, dell’avvenuta deportazione in Germania delle due sventurate. A guerra finita ogni ricerca sembra inutile poiché la fine delle Piccoli fu immediata. Non è possibile non fermare il pensiero sul luminoso comportamento di Amalia Piccoli, la quale, con atto d’amore e di coraggio, rifiutando il lavoro coatto spettante per la sua giovane età, accetta consapevolmente di varcare con la madre la soglia della camera a gas, offrendo la sua giovane esistenza all’olocausto di sei milioni di ebrei cancellati, per odio di razza, dalla faccia della terra. I familiari, non rassegnati, ricorsero per avere notizie all’Associazione Schedario mondiale dei dispersi (Roma), al Comitato internazionale della Croce Rossa di Ginevra, al Comitato ricerche deportati ebrei – Unione delle Comunità Israelitiche Italiane; alla Pontificia commissione di assistenza, all’Ufficio centrale delle ricerche dell’Unrra (amministrazione delle Nazioni Unite per il soccorso e la ricostruzione), alla delegazione assistenziale emigrati e profughi ebrei con sede a Firenze, senza esito alcuno. Le inserzioni sui giornali, fatte in date diverse, gli annunci esposti in apposite bacheche nelle stazioni ferroviarie di confine, danno la misura di quanto capillare sia stata la ricerca. Sugli annunci appaiono le generalità, la descrizione fisica delle due donne, gli indirizzi a cui rivolgersi per comunicare: quello di Alfredo Piccoli a Cividale e quello di Alfredo Schonfeld a Trieste, figlio e fratello della signora Evira. Ed è a questi che il sopravvissuto Sandro Krao di Fiume, in un incontro a Trieste, rende testimonianza del viaggio fatto assieme alle due donne; ne descrive l’orrenda fine e ne riconosce, dalle fotografie, i volti e alcuni particolari degli abiti. Inattesa ed agghiacciante la notizia, portata da un sopravvissuto alla deportazione, salvatosi solo perché il destino ha voluto fosse nel numero dei 12 uomini scelti a Birkenau dagli aguzzini nazisti e comandati al lavoro in prossimità di un nodo ferroviario.”
Incontrai la signora Piccoli e sua figlia Amalia alle carceri di Udine. Il 23 aprile 1944 vennero trasferite da Udine a Trieste e qui rinchiuse in uno stanzone della risiera di S. Sabba, di seguito alle carceri del Coroneo. Alle ore 2 del 27 aprile 1944, furono condotte con un camion militare alla stazione ferroviaria di Trieste e fatte salire su un carro-bestiame assieme ad altri 152 deportati. Dopo la piombatura dei carri ferroviari, il convoglio partì per la Germania, via Brennero. Il viaggio durò cinque giorni durante i quali non venne somministrato alcun cibo, né alcuna bevanda. Il 2 maggio il convoglio giunse ad Auschwitz dopo aver attraversato l’Austria e la Cecoslovacchia. La signora Elvira quasi settantenne, ammalata, si reggeva a stento; la figlia Amalia di 23 anni, eroina incomparabile d’amore per la mamma, infondeva coraggio. Da Auschwitz furono inviate al sobborgo di Birkenau. Dalla partenza di Trieste i deportati giunsero in 142. Incolonnate verso il sinistro edificio del campo di concentramento, chiuse alle spalle le porte di ferro, furono avviate subito alle “camere” ed eliminate, in meno di 15 minuti, dai gas. I corpi buttati nei forni crematori.
Questi fatti mostruosi, viva testimonianza del sacrificio e del lutto di un popolo, non si devono dimenticare. Il sacrificio della giovane Amalia Piccoli resta, nel ricordo, un esemplare atto d’amore e di eroismo consumato con stoicismo a sfida di chi follemente ha voluto l’orrenda fine della sua mamma Elvira, condannata a morte solo perché appartenente alla razza ebraica.
Leo Levi “Galeno” – Medico e Partigiano
Leo Levi nasce a Modena il 20 gennaio 1906 da Ettore e Elisa Gentili, si laurea in medicina all’Università di Modena il 9 luglio 1930, sostiene l’esame di stato a Pisa dove si specializza in medicina interna e per un breve tempo è Assistente Medico. Sceglie di fare il medico condotto che esercita in vari comuni fino a vincere la condotta a Cividale del Friuli (G.U. n. 70 del 28 luglio 1938) e il 22 agosto prende, con tutta la sua famiglia, la residenza in città al civico 1 di Via Patriarcato al secondo piano, aprendo l’ambulatorio di fronte all’abitazione al pianoterra. Il Comune di Cividale del Friuli gli affida anche l’incarico di Ufficiale sanitario. A seguito alla promulgazione delle leggi razziali, 19 settembre 1938, viene esonerato, essendo ebreo, con delibera comunale del 19 dicembre 1938 dal servizio, nonostante il dottor Leo Levi non sia un israelita osservante e. poco prima della promulgazione delle leggi razziali abbia fatto atto di conversione alla Chiesa cattolica (9 settembre 1938). Continua privatamente ad esercitare la professione di medico ma, visto l’aggravarsi della situazione per le persone di origine ebraica e lo stato di guerra, nel 1941, decide di mettere al sicuro la famiglia trasferendo moglie e figli presso i famigliari della moglie. Alla capitolazione dell’Italia, con la conseguente occupazione nazi-fascista, le cose peggiorano ulteriormente e il 22 aprile 1944 una pattuglia delle SS passa in ambulatorio per arrestarlo. Si salva miracolosamente nascondendosi tra il muro e l’anta del grande portone d’Ingresso all’ambulatorio. Riesce a fuggire dalla città e si rifugia nella cella mortuaria del cimitero di Purgessimo, dove viene assistito amorevolmente, e in segreto, dalla popolazione locale. Entra a far parte, con il nome di Galeno, della Divisione Garibaldi-Natisone – Brigata Bruno Buozzi diventando il medico della Divisione. Dopo il grande rastrellamento nazi-fascista che portò alla dissoluzione della Zona libera del Friuli orientale (29 settembre 1944) seguì, nel dicembre del 1944, la formazione partigiana che si trasferì oltre isonzo. Un aneddoto, sull’attraversamento dell’Isonzo la notte di Natale, ci viene raccontato dalla testimonianza del garibaldino Tarcisio Rizzi “Harlem”: Guadavamo il fiume quanto era possibile veloci, però anche nel guado, c’erano difficoltà impreviste. La sorte peggiore toccava a quelli che erano di statura bassa; a questi il livello dell’acqua arrivava fino all’ascella. Il medico della divisione, dott. Leo Levi “Galeno” di Cividale che era di statura molto bassa, l’ha trasportato la corrente dell’acqua in pericolosa profondità. Di questo se ne sono accorti i compagni, quando videro galleggiare il suo cappello sull’acqua e lo salvarono nell’estremo momento. Per lo splendore della luna , la notte era molto chiara. L’acqua torbida cancellava e nascondeva tutto e più di qualcuno inceppava coi piedi scalzi contro le pietre subacquee, imprecando, ciò che ci metteva in serio pericolo. Tra l’acqua e l’aria gelida era per noi come se qualcuno spezzasse il nostro corpo con una lama tagliente.” Seguì quindi tutte le vicende della Divisione garibaldina nell’attuale territorio della Repubblica di Slovenia partecipando il 6 maggio del 1945 alla liberazione della città di Lubiana. Rientra a Trieste il 20 maggio 1945 e quindi, a seguito della smobilitazione delle formazioni partigiane il 24 giugno 1945 a Udine, rientra ‘a Cividale. Al suo rientro, non venendo integrato nel posto di Ufficiale Sanitario del Comune di Cividale del Friuli, riprende ad esercitare la sua professione dedicandosi in modo particolare alle fasce di cittadini più bisognosi. Muore per scompenso cardiaco l’8 ottobre 1948 in seguito alle sofferenze fisiche e psichiche a cui era stato sottoposto dalle leggi razziali e dagli anni di guerra. Viene tumulato, per sua volontà, nel cimitero di Purgessimo grato per l’aiuto ricevuto durante la sua fuga. Lascia la moglie Violante Celoni e i figli Ettore, Giuseppina e Maria Elisa (Marisa). Ora le spoglie si trovano nella tomba di famiglia a Vittorio Veneto. Leo Levi, ha lasciato nella comunità cividalese un ottimo ricordo per la dedizione, per la sua generosità e per l’attenzione verso i più bisognosi che gli valsero l’appellativo di “medico dei poveri”.
Visita al lapidario ebraico del Museo Archeologico Nazionale
Il Museo Archeologico Nazionale di Cividale conserva il ricordo della presenza della comunità istraelitica a Cividale, attestata tra XIV e XVIII secolo, nel proprio lapidario ebraico del Museo dedicato a Elvira Schönfeld Piccoli e a sua figlia Amalia, prelevate dalla loro abitazione di Cividale il 22 aprile 1944, vittime dell’Olocausto.

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