Discorso di Margherita Mattioni alla cerimonia di Mereto di Tomba del 9 dicembre 2017


DISCORSO DI CELEBRAZIONE PER JOLE DE CILLIA

Come ogni anno, ci troviamo riuniti a commemorare la nostra compaesana Jole, nome in codice  “Paola”, una giovane ragazza che perse la vita il 9 dicembre 1944 sulle montagne friulane, in località Pàlcoda. “Paola” si trovava in un casolare abbandonato, limitrofo al paesino, in compagnia di Giannino Bosi – nome di battaglia “Battisti” – quando la zona fu circondata per un rastrellamento. Un controllo del tutto inaspettato, forse dovuto alle informazioni di qualche collaborazionista, dal momento che la zona era stata da poco perlustrata dalla milizia repubblichina, motivo per cui il gruppo vi si era rifugiato. Mentre ai restanti compagni fu ordinato di abbandonare il rifugio per potersi nascondere altrove e sfuggire alla cattura, Paola decise di restare accanto al suo Giannino nonostante la situazione fosse disperata e non si prospettasse una via d’uscita: il comandante delle brigate Garibaldi Sud, infatti, era ferito ad un ginocchio in seguito ad una caduta in montagna e ciò gli impediva di rimettersi in cammino. In quella fredda notte di dicembre, i due giovani che si erano incontrati ed innamorati proprio grazie alla clandestinità sui monti, persero la vita assieme, tentando eroicamente di resistere al fuoco nemico del reparto della X MAS che aveva accerchiato l’edificio.
Per mano del battaglione fascista “Valanga”, il giorno successivo, venivano catturati e fucilati gli altri 10 compagni di “Paola” e “Battisti” presso il cimitero di Tramonti di Sotto.
Nella vita di questa ragazza, Jole, la guerra era penetrata con forza e brutalità molto prima della vicenda della sua tragica morte. Dal 1924, infatti, la sua famiglia era emigrata e si era stabilita in Francia, quando lei aveva tre anni. Là aveva frequentato le scuole elementari e le medie, seguendo successivamente anche un corso triennale in infermeria, ma la dichiarazione di guerra di Benito Mussolini a Francia e Inghilterra del giugno 1940 pose fine alla vita che figlia e genitori conducevano tranquillamente all’estero da ormai 16 anni, costringendoli al rientro in madrepatria. Qui, una volta tornata, non le fu riconosciuto il diploma da infermiera in quanto emesso da uno Stato straniero, però Jole non si diede per vinta: lavorando presso l’ospedale Forlanini continuava tenacemente a studiare ostetricia, concludendo gli studi infine con un ottimo risultato. All’interno del personale medico dell’ospedale, Jole conobbe fra gli altri Fidalma Garosi, “Gianna”, amica con la quale avrebbe condiviso tanto, specialmente le attività a sostegno della Resistenza partigiana: oltre a trafugare materiale medico per destinarlo ai ribelli feriti, Jole e Fidalma li raggiungevano per medicarli e curarli, nei loro rifugi in montagna.
Dal ’43 al ’44 Jole perciò svolse svariate mansioni per la causa antifascista, dalle cure sanitarie all’attività di staffetta, come molte altre giovani donne come lei; quando però nel maggio del ’44 un gappista infiltratosi nell’archivio della sede del Comando Nazista a Udine trovò i nomi delle due amiche nei registri sull’attività partigiana, non essendo più al sicuro, entrambe dovettero scappare salendo anch’esse in montagna. Qui si spesero nell’organizzazione del primo ospedaletto partigiano, Jole inoltre divenne membro del Comitato Sanitario della Zona Libera di Carnia ma si impegnò anche all’interno dei Gruppi di Difesa della Donna. Tale organizzazione era adibita ad un compito tanto delicato quanto prezioso, ovvero quello di intessere legami capillari con la società civile, attraverso
clandestini incontri pubblici o semplici chiacchierate nelle case e nella famiglie in cui pazientemente spiegare le motivazioni ed i fini della ribellione al regime fascista, cercando di stimolare ed ottenere la collaborazione della popolazione a favore delle attività sovversive – invano, infatti, la lotta armata sulle montagne si sarebbe protratta se non ci fosse stato un forte sostegno, materiale e non, da parte civile. Attività, quindi, di fondamentale importanza svolte dimostrando grandi capacità e tanta fermezza e coraggio: così Jole viene ricordata nelle testimonianze che la riguardano, fra le quali quella
di Mario Lizzero. Nella partecipazione alla lotta di Liberazione questa giovanissima ragazza aveva trovato lo strumento con cui opporsi all’illegittima ed efferata violenza degli occupanti nazisti, a cui milizie repubblichine e amministrazione fascista si erano da tempo asservite, potendo portare avanti il suo genuino e tenace sogno di pace. Un ideale nobile in nome del quale sacrificò i suoi soli 23 anni.

I giovani e le giovani della Resistenza friulana e italiana si sono sacrificati per permetterci di vivere in un regime democratico in cui vigessero libertà di espressione, movimento, opinione, pensiero, credo politico e religioso, etc e nel quale tali libertà si sposassero con principi generali di eguaglianza e di giustizia da tramandare attraverso le generazioni, nel segno di un riconoscimento integrale della dignità umana sotto i suoi variegati profili. Su questi valori si era incardinata la repubblica di una delle prime zone libere sorte in Italia, quella di Carnia, e di essi continua ad essere testimone e latrice la nostra carta costituzionale, purtroppo sotto certi aspetti ancora inesaudita nella sua lungimiranza.
È per noi, quindi, un dovere prendere in mano il testimone rispetto alla lotta ed ai sacrifici che hanno portato al riconoscimento di tali valori in un’Italia dal volto repubblicano e democratico, rigorosamente e strutturalmente antifascista. È nostro dovere non permettere che il ricordo dei crimini fascisti e le storie di chi invece scelse l’impervio sentiero dell’opposizione ad essi cadano nel vuoto.
In Friuli come in Italia, gli orrori del secondo conflitto mondiale si sono perpetrati assumendo le sembianze di un’odiosa guerra civile sanguinaria, annientatrice e lacerante. Famiglie distrutte, giovani vite spezzate, umiliazioni, abusi e indicibili torture e, ancora, stragi in cui vecchi, donne e bambini hanno pagato da innocenti le crudeli conseguenze – nella più totale assenza di tutele – della folle barbarie nazifascista.
Purtroppo oggi, nonostante l’impegno di molti nel cercare di mantenere viva la memoria storica della Resistenza e nell’onorare i suoi caduti, si va insinuando un revisionismo parziale e ideologico che equipara le ragioni dell’una e dell’altra parte; assistiamo alla rinascita di gruppi neofascisti, di organizzazioni simpatizzanti delle teorie razziste: visioni politiche chiaramente e totalmente incompatibili con qualsiasi regime democratico, men che meno con il nostro. Clima ancor più inquietante è quello attuale di vergognosa tolleranza, accompagnata da una diffusa indifferenza colpevole, nei confronti di questi fenomeni, non solo per parte di diversi esponenti politici ma serpeggiante persino nell’opinione pubblica. Che fra le cause di ciò sia ravvisabile l’ignoranza della
storia del nostro Paese è indubbio, un’ignoranza che miete sempre più vittime di negazioniste illusioni di presunta purezza e spacciata incorruttibilità della dittatura mussoliniana, chiaramente non corrispondenti al vero.
È allora nostro dovere, soprattutto, opporci con forza a questa “perdita di memoria storica” collettiva.
Attraverso l’ampliamento di un programma formativo dedicato nelle scuole, promuovendo e pretendendo presso le istituzioni una consapevole attenzione per la sensibilizzazione della popolazione circa questa fase storica, in ogni sede adibita alla formazione e all’educazione. Perché, per citare il Presidente Sandro Pertini: “Oggi la nuova resistenza in che cosa consiste. Ecco l’appello ai giovani: di difendere queste posizioni che noi abbiamo conquistato; di difendere la Repubblica e la democrazia. E cioè, oggi ci vuole due qualità a mio avviso cari amici: l’onestà e il coraggio.
L’onestà… l’onestà… l’onestà. […] E quindi l’appello che io faccio ai giovani è questo: di cercare di essere onesti, prima di tutto: la politica deve essere fatta con le mani pulite” perché “dietro ogni articolo della Carta Costituzionale stanno centinaia di giovani morti nella Resistenza. Quindi la Repubblica è una conquista nostra e dobbiamo difenderla, costi quel che costi.”

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