Discorso di Antonella Lestani all’inaugurazione mostra “Negli occhi dei ribelli” di Danilo De Marco del 19.04.2019


Volti disegnati segnati dai punti indelebili del tempo, una moltitudine di esperienze, sguardi intensi, diretti, occhi che sembrano giudicarci.

Volti di donne e uomini che scelsero di resistere, scelsero da quale parte stare, scelsero di diventare partigiane e partigiani e che con la loro espressività ci chiedono: ma come avete fatto a tornare indietro?

“Tutto il male avevamo di fronte, tutto il bene avevamo nel cuore, a vent’anni la vita è oltre il ponte, oltre il fuoco comincia l’amore”. Queste le parole scritte da Italo Calvino che interpretano bene quella scelta.

Ma tante e tanti dei volti raffigurati in queste fotografie ci hanno detto anche: tant fret, tante fan, tante pore. Freddo, fame paura.

La scelta d’impugnare le armi fu il frutto d’una decisione non facile: convincersi all’uso armato della violenza fu un fatto complicato e drammatico, attraversato da dubbi, per molti dal tormento interiore.

In quei mesi la difficoltà di misurarsi con la violenza s’accompagnò anche alla convinzione che fosse giunto il momento d’opporsi in maniera definitiva, risoluta e forte agli effetti di una violenza ben più grande, che era quella maturata in un contesto di guerra; una violenza che imponeva una risposta.

Fu una scelta determinata dagli eventi, nata dalla convinzione di dover reagire contro chi la violenza l’aveva esercitata mille volte di più, esponendo i cittadini agli effetti di distruzione e di morte causati dallo sfacelo della guerra.

Oggi comprendiamo perché la Resistenza non possa definirsi assolutamente compiuta: il reale obiettivo della guerra al fascismo, cioè la realizzazione di uno stato europeo capace di garantire stabilità politica e sociale, nonché la solidarietà tra tutti i popoli, non è stato ancora realizzato e oggi è ben lungi a venire.

La Resistenza non è un valore da utilizzare come una bandiera da imbracciare all’occorrenza, ma rappresenta un’ideale di lotta oggi più attuale che mai, un obiettivo che dovrebbe esser portato a compimento: è questo che dovrebbero comprendere i nostri politicanti.

È vero la Resistenza non è finita perché i suoi grandi valori – la pace, la libertà e l’eguaglianza- sono in grave pericolo, come sono in grave pericolo i diritti: quello al lavoro, all’istruzione, alla salute e soprattutto i diritti delle donne. Tutti conquistati con grandi fatiche; e di conseguenza è in grave pericolo la nostra legge fondamentale, la nostra Costituzione, natta dalla Lotta di Liberazione.

Resistenza ed Europa sono strettamente collegate perché solo con un’Europa libera e indipendente ci si può battere per il superamento dei blocchi e dell’imperialismo, cioè per la pace e l’eguaglianza di tutti i popoli.

Dobbiamo ricordare che l’Europa senza frontiere tanto sognata dalla Resistenza, quell’Europa del Manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi non esiste.

Dunque la Resistenza non è ancora finita ed ai giovani bisogna dire proprio questo:  la Resistenza non è finita, la Resistenza continua.

Di partigiani e di Resistenze ce ne sono stati e ce n’è molti nelle tante geografie del mondo  e quando la Storia accelera, lo spazio individuale delle scelte si riduce.

E siamo arrivati al punto che è indispensabile scegliere. La Storia individuale diventata Storia collettiva per quella gioventù combattente, che ricorderemo il 25 aprile, sembra un’esperienza irripetibile.

Riflettiamo, oggi esiste una Resistenza privata che può tornare ad essere collettiva.

Assistiamo giornalmente allo scontro tra civiltà e barbarie, in ogni parte del mondo: in un autobus affollato o in un treno per un insulto razzista, in una fabbrica quando le leggi del profitto mettono i lavoratori uno contro l’altro, pronti a tutto pur di mantenere un privilegio consumistico; nelle scuole votate al marketing, negli ospedali indirizzati al business etico, laddove si diventa complici del pensiero unico.

Pensiamo all’oggi, a come stiamo vivendo il conflitto, diverso e in parte sommerso, ma con le stesse lacerazioni umane, prima che sociali e politiche di allora. Lo stiamo vivendo con distanza di valori da allora, una frattura dolorosa tra una forte esperienza del mondo e un sogno di trasformazione e il reality show dove l’importante è il: “prima gli italiani”.

Sono convinta che la nostra Resistenza civile è forse minoritaria, ma c’è.

Tacere, non scegliere, significa ancora abdicare al proprio dovere di esseri umani, permettere una violenza, un’ingiustizia, diventare indifferenti di fronte a una sopraffazione tra forti e deboli, soprattutto rispetto ai popoli migranti, due volte vittime di un capitalismo selvaggio che sottomette globalmente e respinge localmente. La responsabilità è personale.

Come allora, anche oggi una parte maggioritaria del nostro paese, minacciata dalla crisi, anestetizzata dal pensiero debole, orfana della politica, sta cedendo alle lusinghe di un’indifferenza che sta diventando ideologia forte, narcisismo di massa e preludio a una nuova barbarie.

La Resistenza privata, prima ancora di quella collettiva, non ha bisogno di grandi esibizioni, basta essere fino in fondo cittadini consapevoli.

La Resistenza è fatta anche di nuove parole, la lotta avviene anche e soprattutto nel lessico, nel rimettere in circolo certi vocaboli civili, e anche nel fare con passione un racconto onesto della realtà, e praticare un pensiero sovversivo cercando di riportare in luce ciò che l’informazione asservita alle logiche di chi comanda, e la cattiva cinematografia, trasformano in accattivante, anestetizzante e odiosa fiction.

Questo dobbiamo e possiamo fare ogni giorno e per tutti i giorni dell’anno, non solo in questi giorni in ricordo del 25 Aprile 1945.